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Visita Rouhani: per l’Iran un grande successo politico ed economico, nonostante le meschinità italiane

di Salvo Ardizzone

È tempo di bilanci sulla visita compiuta in Europa dal presidente iraniano Rouhani; al di là dei risultati immediati nei rapporti bilaterali con Italia e Francia, le conseguenze sono di respiro assai più ampio. Si è trattato della prima visita ufficiale compiuta dopo l’avvenuta implementazione degli accordi di Vienna e la conseguente fine delle sanzioni.

In poche parole, a Roma e Parigi è andato in scena il rientro di Teheran nella comunità internazionale dopo il lungo periodo di isolamento voluto dai suoi nemici; un rientro atteso da tutti, per una massa di ragioni politiche ed economiche. E che l’evento fosse ritenuto importante è testimoniato dalla delegazione al seguito del Presidente (6 ministri e 120 fra i più importanti imprenditori e alti dirigenti del Sistema Paese iraniano), e dal massimo livello degli incontri organizzati da Italia e Francia.

Il messaggio, forte e chiaro, che lascia questo viaggio è duplice, da un canto politico, dall’altro economico. L’Iran è un grande Paese, l’unico stabile e sicuro del Medio Oriente, con una leadership affidabile e responsabile; esso è un partner, o quanto meno un interlocutore indispensabile per la stabilizzazione di un’ampia regione strategica, da troppo tempo sotto l’attacco di Potenze che mirano a smembrarla per i propri interessi.

Allo stesso tempo, l’Iran è una Nazione che ha tutte le prospettive e le caratteristiche per divenire la più grande potenza economica regionale, capace non solo di far crescere il proprio Sistema Paese, ma di offrire enormi opportunità di reciproco sviluppo ai partner che collaborassero con lei.

I due aspetti, politico ed economico, si potenziano a vicenda, conferendo a Teheran una forza capace d’affermarsi sullo scenario internazionale malgrado le strenue resistenze dei suoi eterni nemici, che vedono nella crescita esponenziale del suo peso la fine dei propri sogni d’egemonia nell’area.

Arabia Saudita e le altre petromonarchie del Golfo, assistono allo sbriciolarsi delle proprie posizioni di privilegio, insieme allo scricchiolare delle loro economie minate da spese enormi per sostenere i propri disegni di potere e dalla guerra dei prezzi del petrolio, che ora si sta ritorcendo contro chi l’ha scatenata (Riyadh).

Per la Turchia di Erdogan, l’azione di Teheran con l’appoggio russo, è la fine del sogno di frantumare Siria ed Iraq, affermando un proprio dominio sull’area; per Israele, è l’incubo di assistere al riconoscimento del ruolo regionale (e non solo) dell’unico Paese che s’è sempre opposto al suo imperialismo, divenendo il riferimento della Resistenza.

Gli stessi Usa, da un canto si sono resi conto di non poter fare a meno dell’Iran come interlocutore, dall’altro vedono nel suo crescente sviluppo il crollo della loro strategia nell’area, che vuole uno stallo fra tutte le potenze locali, senza che nessuna prevalga. Per tutti si prefigura la stabilizzazione della regione, che vede emergere Teheran al centro di essa, con lo spazio politico a suo tempo appannaggio di Washington passato a Mosca.

Una completa rivoluzione, che induce Paesi fino a ieri ostinatamente ostili a riposizionarsi, come la Francia, da anni orientata dai supercontratti pagati dai petrodollari di Riyadh, ma che ora parla di “ruolo positivo dell’Iran in Siria e Libano”.

Ovviamente, anche se Teheran incassa con un sorriso i riconoscimenti di Parigi, e firma con essa contratti miliardari (vedi quello con Airbus, per l’acquisto di oltre 100 aerei di linea che rinnoveranno integralmente la sua flotta commerciale), non è affatto una sprovveduta e sa bene che appena una settimana fa la Francia aveva sollecitato la Ue a nuove sanzioni contro l’Iran con la scusa degli esperimenti missilistici, in un tentativo non riuscito per l’opposizione degli altri Paesi europei di bissare il provvedimento preso da Washington.

Per questo la visita europea è cominciata da Roma, una capitale che, pur appartenendo in toto al blocco atlantico, s’è mostrata assai più equilibrata di Parigi e Londra nei suoi rapporti con Teheran (forse perché trascurata dai mega contratti sauditi).

Sia come sia, quella di Teheran è stata un’apertura di credito verso Roma, un’enorme opportunità che starà al Sistema Italia cogliere appieno, sia dal punto di vista economico (sono già 14 i grandi accordi sottoscritti, per un valore di 17 miliardi), che politica, conferendole un ruolo di mediazione con l’area da cui altri verrebbero esclusi.

Tutto questo fa masticare amaro ai tanti che vedono crollare i propri interessi consolidati, e scatena il potere mediatico da essi controllato, vedi la meschina montatura sulle statue “coperte”; un ridicolo provvedimento non richiesto né dall’ambasciata iraniana, né dall’entourage di Rouhani, che è servito a innescare un attacco su scala planetaria basato sul nulla.

Non saranno i velenosi colpi di coda dell’imperialismo Usa, del sionismo, delle petromonarchie del Golfo e dei loro servi a deviare il corso della Storia; e questo, piaccia o no, porta a riconoscere finalmente il ruolo e il peso di un grande Paese che ha pagato duramente il voler essere libero e la propria strenua opposizione ai poteri che assoggettano il mondo.

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