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Privatizzare la giustizia? Il Ttip ci sta provando

di Giovanni Rodini

In una narrazione politica volutamente costellata da “-ismi” e incubi sociali, c’è una storia che non viene raccontata. Non l’hanno divisa per capitoli e nemmeno in volumi. I pochi che ne parlano usano un linguaggio da bordo ring, tanto che, per ogni incontro tra le due controparti, riferiscono in striminziti trafiletti l’andamento dell’ultimo round di negoziati Ttip. Per sapere di che si tratta, occorre fare un’immersione totale nel presente, un bagno nel cemento, tra i bulloni e gli ingranaggi nascosti del commercio, in un momento che si consuma molto prima del marketing e della nostra dipendenza da tutto ciò che è superfluo.

Mentre ci leggi, è in corso una disputa il cui esito inciderà su qualsiasi altra lotta, presente e futura. Questo da solo spiega l’assoluta segretezza con cui si susseguono i vari incontri del Transatlantic Trade and Investment Partnership.

Si tratta di un accordo per il libero scambio tra Usa e Ue, il cui obiettivo è creare un colosso economico che sappia mantenere solida l’egemonia occidentale, imponendosi sulla Cina e sulle economie emergenti.

Questa via era già stata tentata verso la fine degli anni ’90, ma le trattative erano fallite a seguito della dura opposizione che il progetto aveva incontrato. Oggi si pensa che la crisi possa fornire una legittimazione maggiore a un accordo di libero scambio, quasi si trattasse di una soluzione al disastro che stiamo vivendo, un po’ come è accaduto per le politiche di austerità attuate negli ultimi lustri. In fin dei conti, tra gli effetti collaterali della crisi, c’è anche quello di riuscire a far passare ciò che altrimenti non passerebbe mai.

La ratio di questa trattativa silenziosa è quella di abbattere le barriere del commercio di attività produttive tra Usa ed Ue. In realtà la maggior parte di queste barriere tariffarie è già stata eliminata, attraverso un processo lento ma progressivo che ha avuto inizio a partire dagli anni ’80, quando iniziò ad andare di moda la deregulation. Tant’è vero che il Ttip si focalizza principalmente sulle barriere non tariffarie, che non sono i dazi e le tasse, bensì tutti i regolamenti e le norme che rallentano e in certi casi annullano le opportunità di business. Diritto e regole sono così concepiti come fastidiosi e inutili orpelli che impediscono il fiorire del commercio e il loro smantellamento ci traghetta verso una regola unica che è sempre la stessa: la legge del più forte.

Oggi, inoltre, è molto diffusa la convinzione dell’ineluttabilità delle leggi dell’economia, anche se in realtà non esiste alcuna legge in economia, esistono diverse teorie e semplicemente se ne sceglie una al posto dell’altra. Viene così rovesciata l’impostazione per cui sono politica e diritto a limitare l’economia, per esempio indirizzandola a fini d’utilità sociale, e prevale l’idea che debba essere l’economia a imporsi sulla politica e a dare forma ai diritti e ai sacrifici che i cittadini devono subire in nome e nell’interesse esclusivo del mercato e del capitale.

La rimozione dei regolamenti passa anche attraverso l’armonizzazione normativa dei diversi settori. Questo perché la diretta conseguenza dell’armonizzazione è l’innescarsi di un gioco al ribasso. Il superamento delle antinomie si rivela per quello che è: un espediente per tagliare tutele e garanzie, fino ad arrivare a un minimo comune denominatore tra i diversi regolamenti. Come l’esperienza dell’Ue ci ha dimostrato, il livello giusto di armonizzazione è spesso quello che regola e limita il meno possibile.

Ma le critiche al Ttip devono essere mosse al metodo, prima che al merito. La totale segretezza nella quale procedono le trattative annienta il diritto all’informazione e alla trasparenza nei processi decisionali che sono presupposti indispensabili in una democrazia.

Cosa ugualmente grave è che questo trattato è negoziato tra esecutivi: da un lato esperti della Commissione europea e dall’altro il ministero del commercio Usa.

Eppure è una trattativa che andrà a incidere profondamente su materie di norma attribuite alla discussione e approvazione dei membri delle assemblee parlamentari nazionali e dell’Unione Europea. Di fatto, con questo modus operandi si realizza un’invasione di campo dell’esecutivo sul legislativo che esautora l’organo dove maggiormente si esprime la volontà dei cittadini, il che coincide con una limitazione forzosa della sovranità popolare.

La deregolamentazione, per quanto è dato capire, riguarderebbe anche i pubblici servizi, con una diretta incidenza sui diritti sociali, come ad esempio la salute.

Gli appalti pubblici dovranno allora essere aperti in concorrenza mettendo sullo stesso piano gli operatori locali, nazionali ed esteri: la multinazionale che fornisce servizi sanitari e l’organizzazione no profit che fornisce servizi di cure alla persona si troveranno sullo stesso livello di concorrenza. Si aprirà così un nuovo enorme mercato per i privati: tutto il settore dei servizi pubblici, realizzando così una specie di esternalizzazione alle multinazionali del servizio sanitario nazionale e di tutta una serie di servizi fondamentali i cui costi verranno comunque sostenuti con soldi pubblici.

Il trattato contiene anche un capitolo che prevede l’istituzione di un Consiglio di cooperazione per i regolamenti, che è un organo dove esperti, nominati dalla Commissione e dai competenti Ministeri degli Usa, valuteranno gli impatti commerciali su marchi, etichette, brevetti e molto altro ancora. In questi ambiti il Consiglio avrà piena competenza surclassando quella legislativa degli Stati membri. Questo Consiglio di cooperazione avrà dunque un potere enorme, un vero e proprio potere di regolamentazione. Per questo motivo si può parlare di privatizzazione del potere legislativo, poiché quest’ultimo non sarà più appannaggio dei Parlamenti, ma sarà assegnato a un organo formato da persone che non saranno elette da nessuno e che saranno inevitabilmente esposte alle pressioni e alle ingerenze delle multinazionali.

Il potere legislativo non sarà l’unico ad essere esautorato da questo trattato, la stessa sorte spetterà anche al potere giudiziario. Il trattato, infatti, introduce un meccanismo di risoluzione dei contenziosi tra investitori e Stati. Questo meccanismo permetterà alle imprese di denunciare gli Stati, qualora esse ritengano che le norme da loro dettate danneggino i loro investimenti o profitti. Se uno Stato, per esempio, sarà “troppo garantista” nel tutelare i lavoratori, un’impresa potrà denunciarlo, per il semplice fatto di aver adottato una normativa particolarmente rigida. Competenti a conoscere delle eventuali controversie saranno dei tribunali extraterritoriali, che de facto bypasseranno i tribunali nazionali, Corte Europea compresa. In buona sostanza, si tratterà di una sorta di arbitrato che si sostituirà al potere giudiziario. Legittimate ad attivare questi meccanismi per la risoluzione delle controversie saranno le sole imprese, non gli stati o i cittadini. Le sole multinazionale, infatti, potranno impugnare qualsiasi provvedimento adottato da un’autorità statale, che, a parer loro, possa inficiare o ridurre i loro profitti presenti, futuri o solo potenziali.

Se un comune Alfa, per esempio, con una delibera regolarmente approvata, decidesse che gli alimenti delle mense nelle scuole elementari devono essere a chilometri zero e macrobiotici, potrebbe vedersi “citato in giudizio” da parte di una qualsiasi impresa che non produce macrobiotico, per ottenerne l’annullamento della delibera. Anche un’impresa che non si occupa affatto di alimentazione potrebbe impugnare la delibera, lamentando il fatto che, nell’ipotesi in cui un domani volesse produrre alimenti Ogm, sarebbe penalizzata, per essere quell’appalto rivolto ai soli produttori di alimenti macrobiotici.

Considerando i costi davvero esorbitanti per resistere in simili processi e il rischio di essere condannati a risarcire, oltre al danno emergente anche il lucro cessante, è facile capire come comuni, regioni e Stati saranno inclini a evitare ogni decisione che possa arrecare un danno, anche solo ipotetico, alle multinazionali degli stati vincolati dal trattato Usa-Ue.

Di tutto questo e di molto altro ancora si sta discutendo in queste settimane, nell’ennesimo round tra multinazionali e stati sovrani. Se il Ttip dovesse entrare in vigore, non basterà più avere ragione per ottenere giustizia. Di buono c’è che il finale di questa storia dev’essere ancora scritto. C’è ancora tempo per alzare la testa e per evitare di diventare spettatori passivi di un gioco su cose tanto importanti, troppo importanti per starsene a bordo ring.

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