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Cuba: nessuna normalizzazione con Washington senza la fine dell’embargo e la restituzione di Guantanamo

di Cristina Amoroso

“Il ristabilimento dei rapporti diplomatici è l’avvio di un processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali, ma questo non sarà possibile fino a quando rimarrà l’embargo e fino a quando gli Usa non restituiranno il territorio cubano illegalmente occupato dalla base navale di Guantanamo”. Sono queste le richieste che il presidente cubano Raul Castro fa agli Stati Uniti nel corso del processo di disgelo nelle relazioni tra Washington e L’Avana.

Raul Castro in un recente summit latino-americano in Costa Rica nel suo intervento è stato molto chiaro nel ribadire la volontà di Cuba di normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti, ma anche nell’affermare senza mezzi termini che il problema principale non è stato risolto, “Stop al blocco economico, commerciale e finanziario, che continua a causare enormi danni umani ed economici e che è una violazione dei diritti internazionali, e Guantanamo deve tornare a Cuba”.

La scorsa settimana si sono tenuti a L’Avana i primi colloqui tra Usa e Cuba per avviare quel percorso di normalizzazione dei rapporti interrotti nel 1961, annunciati a dicembre dal presidente Barack Obama e da Raul Castro. Obama ha usato i suoi poteri esecutivi per allentare restrizioni a viaggi e commerci con l’isola caraibica, ed ha chiesto al Congresso di mettere fine all’embargo in vigore dal 1962.

Nel tentativo di escludere Washington dall’interferire negli affari interni di Cuba, Castro ha suggerito che Obama estendesse al resto dell’economia di Cuba misure simili a quelle statunitensi annunciate per l’industria delle telecomunicazioni, ma ha aggiunto che sapeva che la fine dell’embargo più lungo della storia moderna, sarebbe stata una “strada lunga e difficile”.

Castro e Obama hanno annunciato che L’Avana e Washington avrebbero cominciato a ricostruire i rapporti diplomatici a lungo interrotti riaprendo le ambasciate nei rispettivi paesi. Tuttavia, il presidente cubano si aspetta maggiori facilitazioni nelle restrizioni di viaggio e nel commercio su Cuba dal suo omologo statunitense, pur commentando che il presidente Obama “avrebbe potuto usare con determinazione i suoi ampi poteri esecutivi per modificare in modo sostanziale la portata del blocco, anche senza la decisione del Congresso”.

Il governo degli Stati Uniti ha dichiarato che intende chiudere il centro di tortura di Guantanamo, ma non intende restituire a Cuba questo territorio, occupato militarmente dalla fine del XIX secolo. Le ragioni sono insostenibili e si fondano sull’affermazione che la base militare di Guantanamo è importante per gli Stati Uniti, i quali  si comportano come padroni naturali di un territorio acquisito militarmente senza discutere, come se l’occupazione militare desse diritto alla proprietà di un territorio che non gli appartiene.

Allora è stata una evidente occupazione militare che ha condotto gli Stati Uniti a Cuba, che stava battendo il decadente potere coloniale spagnolo alla fine del XIX secolo, con il pretesto ufficiale di portare la pace al conflitto, con l’obiettivo reale di bloccare l’indipendenza di Cuba. Un vero e proprio carattere neocoloniale l’intervento americano, suffragato da un contratto d’imposta, per un secolo, e completato ulteriormente dalla tutela dei governi di Cuba per tutta la prima metà del XX secolo, caratterizzato come periodo neocoloniale. Solo con la Rivoluzione cubana del 1959, sconfiggendo e rovesciando il regime di Fulgencio Batista, che rappresentava gli interessi statunitensi nell’isola, Cuba ha “osato” spezzare le catene dell’imperialismo statunitense e subire l’embargo.

L’azione di Guantanamo è parallela all’azione del Canale di Panama. Dopo avere indotto la separazione del territorio di Panama dalla Colombia, gli Stati Uniti hanno imposto immediatamente il loro controllo sul canale col pretesto di riprendere il progetto francese di ampliamento del canale.

Il 20 Dicembre 1989 – solo due settimane dopo la caduta del muro di Berlino – il presidente George H. Bush ha inaugurato l’era post-Guerra Fredda con l’invio di 25mila truppe in Panama di Noriega. Chiamato Operazione “Giusta Causa”, l’incursione sarebbe stata considerata un “attacco a sorpresa” per qualsiasi altra nazione che l’avesse compiuto.

“L’invasione, meno di otto mesi prima che l’Iraq invadesse il Kuwait, fu condannata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”, ma come spiegava l’ex procuratore generale Ramsey Clark: “Non  fu intrapresa alcuna azione contro quell’invasione, anche se gli Stati Uniti avevano violato tutte le leggi internazionali in seguito violati dall’Iraq quando invase il Kuwait, oltre a una serie di convenzioni dell’emisfero occidentale e i trattati del Canale di Panama”.

L’Ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, Thomas Pickering, difese l’invasione, sostenendo che l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite “prevede l’uso della forza armata per difendere un Paese, per difendere i nostri interessi e la nostra gente”. Pickering sostenne che Bush era stato costretto a invadere Panama, perché “Panama era utilizzata come base per il traffico di droga verso gli Stati Uniti”.

Dal momento che queste tattiche di disinformazione durevoli sembrano non venire mai meno, e che “L’America non ha amici o nemici permanenti, ma solo interessi”, come affermava Henry Kissinger, se in un primo momento Cuba è arrivata a non sollevare la restituzione del territorio di Guantánamo come condizione per il ripristino delle relazioni tra i due Paesi, in un gesto di buona volontà, ora, in occasione della riunione a San Jose, Costa Rica, il presidente di Cuba Raul Castro, ha posto – inequivocabilmente – come una delle condizioni per l’effettiva normalizzazione delle relazioni tra i governi di Cuba e degli Stati Uniti, la restituzione di Guantanamo.

Con la sconfitta statunitense e il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti, è finalmente l’ora della fine dell’embargo, della chiusura del carcere di Guantanamo e della legittima restituzione del territorio a Cuba.

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