Coronavirus III^ parte: Missioni militari da sacrificare
Nella geografia della nostra politica di Difesa, le situazioni che più saltano all’occhio sono diverse. La prima è che le missioni europee sono tantissime e male ottimizzate. La seconda è rappresentata dal fatto che l’Italia è più presente in Africa che in Medio Oriente, ma i contingenti e le forze dispiegate sono molto più significativi e d’impatto in quest’ultimo piuttosto che nel primo. Terzo, senza dubbio l’Africa è allo stesso modo strategica per noi quanto il Middle East. Quarto, le missioni costano moltissimo se solo si pensa che per l’Afghanistan nel 2019 si sono spesi circa 159 milioni di euro e poco più per l’Iraq. Solo la missione Nato ha richiesto un milione e 500mila euro e in tutto il costo complessivo delle operazioni autorizzate per il 2019 è stato di euro 428.554.211.
E se con tutti questi soldi s’incentivasse invece la costituzione d’industrie volte alla produzione di mascherine invece che doverle importare dalla Cina, dall’Egitto o dall’India? E se con questi milioni di euro s’incoraggiasse la produzione di respiratori? Infine, se con tutto questo denaro si investisse sulla Sanità pubblica, sulla prevenzione e sulla ricerca?
Ci si aspetta che uno Stato pianifichi e prevenga per non farsi poi trovare nell’emergenza sprovvisto del necessario. Qualcuno credeva che respiratori e mascherine non potessero servire? La globalizzazione non permette e non consente di essere autosufficienti su settori e strumenti che al momento del bisogno è necessario avere immediatamente disponibili?
Utilizzo dell’esercito
Altra domanda, se le forze armate sono così altamente specializzate e hanno medici di alto livello che operano in teatri di guerra anche in condizioni assolutamente critiche, stressanti e sono formati per questo, perché lo Stato non si è servito del personale medico militare per supportare quello civile al fine di non lasciare soli infermieri non del tutto pronti umanamente ad affrontare una situazione tanto critica? La Russia infatti ha mandato in Italia staff medico militare.
Cambiando tema ma restando in ambito forze armate, a quali missioni si potrebbe rinunciare? Strategicamente parlando non è difficile intuire il motivo per il quale l’Africa è per noi importante: per i flussi migratori, per la stabilità della Libia, per il traffico di esseri umani, per la vicinanza, tutti temi sui quali in Europa si è profondamente dibattuto senza arrivare ad alcuna soluzione ragionevole e risolutiva. Si spera solo che in piena emergenza coronavirus, il governo non si trovi a dover gestire anche barconi di migranti che arrivano sulle coste italiane.
L’Europa esiste se è utile e se condivide; messa alla prova seriamente il risultato è stato che nel momento di difficoltà dare una mano non è del tutto nel suo Dna. Quindi, perché noi continuiamo a spenderci in missioni da cui potremmo e dovremmo ritirarci?
Utilità delle missioni
Ad esempio, non è giustificabile continuare a stare in Iraq quando il governo stesso di Baghdad ha chiesto a tutti i contingenti militari di andarsene dopo che l’attacco al generale iraniano Soleimani è partito da qui. Come siamo intervenuti sul territorio a seguito della richiesta in sede Onu, allo stesso modo ce ne dobbiamo andare come chiesto. Non siamo noi i padroni dell’Iraq, soprattutto quando i soldi servono in patria. I Peshmerga sanno combattere molto bene, gli Usa hanno le mani sul petrolio iracheno e vogliono restare per controllare l’Iran. I nostri interessi in Iraq quali sono?
Ugualmente non ha senso proseguire le nostre missioni in Afghanistan, quando gli americani sono i primi a voler lasciare il campo e soprattutto mentre stanno negoziando coi talebani, gli stessi contro i quali hanno mosso guerra coinvolgendo tutte le forze della Nato. Nel Paese le ultime elezioni non sono state vinte dai talebani, semplicemente questi ultimi però, visto che hanno il controllo del traffico di droga (con cui finanziano il terrorismo) vogliono comunque governare.
Ma almeno per principio, è difficile sposare una causa laddove chi ti ha portato in guerra per combattere il terrorismo tratta poi con gli stessi terroristi, perché anch’essi abbiano voce in capitolo sulla gestione politica di un Paese dove nazioni come la nostra hanno speso miliardi di euro per rafforzare le istituzioni democratiche e addestrare le forze armate. È piuttosto imbarazzante la nostra posizione in questi due territori.
Poche le missioni utili
Tra tutte le missioni elencate poche in realtà hanno davvero senso di esistere: la missione Onu in Libano, Unifil, perché quella zona per la stabilità del Medioriente è fondamentale; la missione in Kosovo della Nato, Kfor, in quanto la zona balcanica è estremamente vicina, la criminalità ha molto potere e il pericolo terrorismo è forte; sebbene se ne parli poco è fondamentale restare a Cipro, magari con un contingente più importante, perché in quella zona del Mediterraneo è stato trovato uno tra i più grandi giacimenti di gas del mondo e a volerci mettere le mani non sono pochi. Se ogni Stato fa i suoi interessi noi dobbiamo farlo per le nostre grandi aziende.
Ma la cosa che conta di più è rafforzare gli accordi bilaterali in Africa, aumentare il dispiegamento di forze qui e toglierlo dal Medioriente. Le missioni europee così come sono poste, a parte Eulex in Kosovo, risultano disordinate, non ottimizzate, non possono esserci in un Paese come la Nigeria 4/5 missioni europee diverse.
Del resto, questo panorama è l’esatto specchio di una politica estera europea totalmente inesistente, scomposta, frammentata in cui ognuno va per sé e non lungimirante. Nel continente africano ci dobbiamo stare, anzi, dobbiamo starci di più, ma meglio e in modo opportuno perché serve controllare tutta la zona che va dal sud del Sahara fino al Nord Africa.
Nel Mediterraneo la presenza italiana dev’essere importante e deve fare la differenza quindi bene le missioni, ma che siano efficaci, ossia volte a far sentire il nostro peso e le nostre necessità.
Italia priva di ogni sovranità
Se in una situazione pandemica tanto grave molti Paesi hanno dimostrato tanta bassezza, per quale motivo la politica estera italiana e la Difesa non debbano puntare ad affermare con diplomazia ma fermezza le proprie esigenze? Non si tratta di uscire dall’Unione, né dalla Nato, ma semplicemente modulare i nostri interessi, volti al risparmio e a una visione più pragmatica delle circostanze.
È un sacrilegio affermare l’opportunità di uscire dalla “Baltic Guardian” della Nato? L’Italia si affaccia sul Mediterraneo e qui non ce ne sono pochi di problemi. Significa non guardare ai nostri affari se non figuriamo più tra i paesi che partecipano alla missione al confine tra India e Pakistan e alla missione Minurso in Marocco? Possono farcela senza di noi, non c’è dubbio.
È possibile partecipare a una sola missione europea per bene, in modo intelligente e coi piedi ben saldi in Mali, in Somalia, nell’Oceano Indiano, nella zona del Sahara, nel Sahel, in Niger, in Nigeria, nel Gibuti oppure bisogna prendere parte in modo dispersivo a ogni operazione che l’Ue crea di anno in anno? Gli accordi bilaterali funzionano meglio. È chiedere troppo lasciare la Multinational Force and Observers, ossia il confine tra Egitto e Israele? Il Libano è più importante.
La pandemia dovrebbe far riflettere molto e soprattutto ci si aspetta che in momenti difficili, durante i quali si è stati trattati anche male, tanti temi vangano rielaborati opportunamente e che soprattutto l’Italia ripensi se stessa in modo cosciente, pragmatico, a testa alta, facendo valere all’interno del paese e in politica estera le sue priorità.
di Ilaria Parpaglioni