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Un tribunale internazionale per giudicare i Foreign Fighters

C’è una piaga di cui si parla molto poco ma che rappresenta una vera spina nel fianco della politica internazionale in generale e occidentale soprattutto: il problema si chiama Foreign Fighters, ossia quei mercenari che hanno lasciato il proprio Paese di residenza per unirsi, dietro pagamento, al “brand”dello “Stato Islamico”.

Foreign-FightersL’atteggiamento della maggior parte delle nazioni di provenienza di questi mercenari sembra essere “occhio non vede cuore non duole”, ma i crimini e i criminali vanno perseguiti, in patria e fuori dal territorio nazionale e coloro che non sono rimasti uccisi nel conflitto, ci sono e si muovono.

Ma dove sono? Dove stanno andando? Come prima degli “Inverni Arabi” si metteva in guardia sulle forze che spingevano alle tanto indorate proteste, ora sembra opportuno focalizzare l’attenzione su queste persone che sia stanno tornando in patria e sia si stanno riorganizzando in zone precise del Grande Medioriente.

La politica internazionale si trova di fronte a una bomba a orologeria, poiché si parla di persone pericolose, addestrate e indottrinate, di un esercito multinazionale di fanatici religiosi e di mercenari che ha lasciato dietro di sé strascichi di bambini orfani e non, da recuperare psicologicamente e madri e mogli consenzienti e non rispetto al progetto Isil.

Non è il caso di mettere in dubbio due cose: la veridicità della questione e il carattere internazionale che deve avere la risposta a tale minaccia, in quanto i terroristi provengono da tanti e diversi Paesi. Non possono occuparsi dei foreign fighters soltanto l’Iraq e la Siria, che sono per altro gli Stati che hanno subito le conseguenze più devastanti di questo conflitto assurdo, le cui popolazioni ne sono uscite frammentate, disperse e distrutte.

Per inquadrare ulteriormente il problema si riportano di seguito alcuni frammenti di un’intervista pubblicata dall’AdnKronos, fatta a Bruxelles il 27 Aprile a Redouane Ahrouch, Leader del “Parti Islam” (piccolo partito islamico belga). “In Belgio sono tornati dalla Siria e dall’Iraq molti foreign fighters. A Bruxelles e a Liegi ci sono ritorni dall’ex “Stato Islamico” praticamente ogni settimana. I reduci fanno proselitismo, cosa che è molto pericolosa e sono pronti a colpire di nuovo se riceveranno l’ordine di farlo”. “Penso”, prosegue il leader,”che almeno bisognerebbe sorvegliarli, non lasciarli liberi di frequentare le moschee e di corrompere i giovani”. “Chi ritorna dalla Siria” secondo Ahrouch, “ha diritto a tutti i vantaggi: a un alloggio, a un’allocazione di sopravvivenza e a circa mille euro (pagate da chi?)”. Molto critico nei confronti delle politiche Ue sull’emigrazioni, afferma che “l’Europa dovrebbe cambiare e avere una politica di controllo sui richiedenti asilo”. Lo stesso ritorno in patria dei combattenti, argomenta il capo del Parti Islam, crea euforia tra i più che fanno parte di quella comunità, poiché gli episodi vengono raccontati in modo “epico” a gente che condivide certe vedute, laddove il fondamentalismo trova terreno fertile per mille motivi.

Il 24 Giugno, il capo dell’Agenzia Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha detto che i prigionieri che hanno combattuto tra le fila dell’Isis vanno “processati o rimessi in libertà”; si stima che ci siano quasi 55mila persone tra uomini, donne e bambini nei centri di detenzione tra Iraq e Siria. Gli stranieri sono migliaia, la maggior parte. Senza dubbio questi criminali vanno processati, ma non basta dirlo, bisogna organizzare il dove e il come poiché i paesi d’origine ne hanno la responsabilità.

Il giorno seguente, il 25 Giugno su Asia News, l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Yousif Thoma Mirkis lancia un altro appello: gli orfani del Daesh, dice, rappresentano una grande emergenza e suggerisce che la questione venga affrontata sia a livello economico dalla comunità internazionale e sia sul piano della scolarizzazione e dell’educazione. Tutti questi bambini sono vittime del “lavaggio del cervello” attuato dal’Isil, dai genitori stessi combattenti, infatti sono imbevuti di idee terroristiche. Molti di loro sono detenuti con le madri, oppure rinchiusi nel carcere minorile di Baghdad, condannati per reati di varia natura, dall’immigrazione illegale all’aver combattuto col Califfato. Altri migliaia sono orfani, vivono per le strade in cerca di cibo e di sostentamento col rischio scontato di essere sfruttati dalla malavita.

La portata enorme del problema, prosegue Mons. Yousif, si comprende meglio se si ricorda che sotto l’Isil vivevano più di otto milioni di persone. In quest’area durante questi anni sono nate circa tre milioni di persone e la quasi totalità ha subito un pericolosissimo lavaggio del cervello, come un piano politico d’indottrinamento generale.

I combattenti da cui questi fanciulli sono nati provenivano per la maggior parte dalla Francia, dalla Germania, dal Belgio,e dalla Gran Bretagna. L’Italia ha avuto poche adesioni al Califfato, diversi sono andati invece a combattere tra le fila dei curdi. Quindi, sostiene il Prelato, i governi di provenienza devono farsene carico, non può gravare tutto sulla Siria e sull’Iraq.

Ovviamente i miliziani rappresentano un problema enorme poiché sono un “cavallo di troia” per ogni nazione europea, nord-africana e per gli Usa, ma la questione va affrontata e risolta velocemente perché abbiamo zone mediorientali con un’altissima concentrazione embrionale di fanatismo religioso e in Europa chi è tornato e chi sta rientrando è addestrato a combattere.

La minaccia è elevatissima, sofisticata e soprattutto pianificataForeign-Fighters

A Maggio il Capo della sicurezza Russa (Fsb), Alexander Bortnikov ha sollevato l’allarme su migliaia di terroristi che si stanno ammassando sul confine settentrionale dell’Afghanistan. A quale scopo c’è da chiedersi? Si ricordi che ci sono i Talebani nel Paese e stanno trattando con gli Stati Uniti. Il capo dell’Intelligence nel corso di una visita in Tagikistan ha dichiarato che ci sono circa 5mila miliziani nelle aree confinanti con gli ex Stati sovietici in Asia Centrale.

Il 15 Maggio le autorità del Kazakistan hanno rimpatriato 231 connazionali che vivevano in Siria e che si erano uniti al Daesh. Tra questi ci sono un centinaio di bambini al di sotto degli 8 anni. Appena atterrati, la polizia ha arrestato tutti gli uomini e quattro donne. Il Tajikistan ha riportato a casa 84 minori che si trovavano in Iraq; in Asia Centrale secondo alcune fonti ufficiali sono partite circa 4mila persone per combattere per il Daesh.

Gli Stati Uniti stessi, stanno cercando da tempo di trasferire i terroristi dell’Isis e i membri delle loro famiglie dalla Provincia siriana di Deir Ezzor ai campi nell’Iraq occidentale, dove gli Usa hanno stabilito ben 14 basi per motivi geo-strategici e per tenere sotto controllo l’Iran. Il dubbio che si tratti di una seconda Guantanamo c’è, ma se si conosce cosa si muove in Medioriente e quali sono i rapporti di forza nella Regione, può venire in mente che i miliziani possano anche essere usati come strumento di minaccia da infiltrare laddove può servire. Il 14 Giugno il Belgio ha dichiarato di aver rimpatriato 6 orfani figli di foreign fighters, ma è già noto quali circostanze siano in atto nel Paese della capitale europea.

I Balcani rappresentano la zona di maggiore provenienza dei Foreign Fighters che sono andati a combattere con l’Isis; il Kosovo e la Bosnia sono i più esposti da questo punto di vista, poiché dai tempi della guerra c’è stata una forte infiltrazione sunnita/wahabita/takfira attraverso donazioni, grazie alla nascita di numerose Ong discutibili e con finanziamenti attenzionati e sia con un sistema educativo chiuso che manda i giovani a studiare nelle principali capitali dell’Islam sunnita per poi tornare al fine di indottrinare ed educare.

Molti Foreign Fighters stanno tornando con un carico di figli minori impressionante. Secondo la legge kosovara del 2015 attuata grazie anche all’impegno di esperti internazionali e italiani, qui i foreign fighters rischiano una condanna a 15 anni di reclusione.

La certezza della pena in questi casi dev’essere sicura perché in queste zone più di altre, malgrado la presenza di forze militari Onu, il radicalismo religioso è molto forte. In più è da tenere ben presente l’alto tasso di traffico di droga (in Kosovo oltre al resto, viene lavorata l’eroina proveniente dal Medioriente), di armi ed è da sottolineare anche la presenza di clan mafiosi e affaristici cresciuti con l’Uck durante la guerra.

In Italia nel 2015 con il Ministro dell’Interno Alfano, nel Decreto anti terrorismo, diventa finalmente reato anche andare a combattere all’estero oltre che fare reclutamento. Nel nostro Paese si va dalla reclusione da 3 a 6 anni per chi si arruola nelle organizzazioni terroristiche, sempre da 3 a 6 anni per chi supporta i combattenti organizzando, finanziando e facendo propaganda e la pena va dai 5 ai 10 anni per i lupi solitari. Inoltre col Decreto legge, la procura nazionale antimafia si è trasformata diventando anche “antiterrorismo”.

L’ampiezza e la complessità della questione concernente i foreign fighters sono ora chiare ed è ugualmente cristallina l’urgenza di discutere del problema e di risolverlo il prima possibile. La soluzione più opportuna per processare e valutare tutte queste migliaia di persone radicalizzate è venuta dai Paesi scandinavi: Stoccolma ha proposto di creare un tribunale internazionale. L’iniziativa è partita dal Ministro dell’Interno Morgan Johansson a Marzo presso il Consiglio dell’Ue.

Diverse sono state le adesioni, del resto nella storia tanti sono stati i tribunali chiamati a giudicare crimini di guerra, vedi il processo di Norimberga, il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia e allora anche questa volta si dovrebbe fare lo stesso visto che i crimini hanno riguardato l’umanità e una vastissima area geografica. Tale provvedimento sembra essere decisamente il più giusto, i foreign fighters non sono figli di nessuno. A pensarci bene però ci si potrebbe chiedere: ma forse la mancanza di risolutezza nell’intervenire dipende dal fatto che sono troppo figli di qualcuno…?

di Ilaria Parpaglioni

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