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Strage di Utoya, 10 anni di silenzio

La strage di Utoya ha segnato indelebilmente una generazione di ragazzi che, sopravvissuti all’attacco ne portano addosso i segni. Una strage forse lontana perché compiuta in quell’isola di pace che vede la Norvegia come una nazione tranquilla e a misura d’uomo. Eppure è da lì che è partita la visione di un’Europa sotto attacco, che doveva mettere alla porta l’immigrazione, con lo spauracchio dell’islamizzazione e la difesa del cristianesimo. Queste furono le dichiarazioni dell’autore dellanstrage di Utoya: “Il difensore del cristianesimo”.

Anders Breivik di morti ne fece 69, solo su quell’isola, se aggiungiamo quelli deceduti nelle esplosioni nel centro di Oslo i morti arrivano a 77, 300 i feriti. La strage di Utoya durò 70 minuti: dalle 17:22 sino all’arrivo della polizia e conseguente arresa: 18:34. L’assalitore ne ammazzò uno al minuto, puntava le vittime come animali da macello, aspettava di vederle cadere, controllava il respiro e se ancora era presente partiva il colpo di grazia. L’attentatore lascia anche dei feriti, gente segnata per sempre nel corpo e nella mente da quello che accadde nel luglio di dieci anni fa.

Il male come fanatismo, paura. La paura di una islamizzazione dell’Europa, quindi, punire il partito laburista norvegese per le politiche di apertura e accoglienza. La follia di eliminare la futura rappresentanza politica del partito riunita a Utoya perché lì si riunivano i giovani laburisti. La vittima più giovane aveva 14 anni.

“Arginare una decostruzione della cultura norvegese per via dell’immigrazione in massa dei musulmani”, questo ha affermato Breivik durante il processo.

Strage di Utoya tra errori, mancanze e distrazioni

La strage fu possibile anche per le inadempienze della polizia norvegese che venne sorpresa dagli attentati al distretto politico di Oslo facendo convogliare tutte le forze disponibili in quella zona mentre Breivik, vestito da agente di polizia, arrivava indisturbato a Utoya dove nella zona era presente un solo piccolo commissariato che venne invaso dalle chiamate dei ragazzi che raccontavano in diretta quanto stava accadendo.

Il processo mise in mostra le lacune organizzative della polizia norvegese, ma mise in mostra anche la folle ideologia razzista di Breivik che da quel momento è diventato “l’idolo” di tutti i fanatici razzisti.

Uno strano silenzio. Perché un doppio attentato che fa 77 vittime, 300 feriti, che fa saltare in aria il palazzo del primo ministro ad Oslo, che sventra un intero quartiere passa quasi nel dimenticatoio? Questa è la domanda che dovrebbe far riflettere. Sulla carta quanto accaduto in Norvegia avrebbe tutte le carte per essere ricordata come un 11 Settembre dell’Unione Europea, eppure tranne sporadici casi il ricordo passa quasi in sordina.

di Sebastiano Lo Monaco

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