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Strage Borsellino: fu depistaggio di Stato

La strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta è stata lo scenario di uno dei più grandi depistaggi avvenuti in Italia. Queste sono le motivazioni della sentenza del Borsellino quater. Soggetti inseriti negli apparati dello Stato indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e i poliziotti della scorta.

strage-via-DAmelioLe motivazioni della sentenza sono state depositate il 30 Giugno, data emblematica in quanto il 30 Giugno del 1963 nelle campagne di Ciaculli avvenne una delle più sanguinose stragi di mafia dove a morire furono 4 carabinieri, 2 militari dell’esercito e un sottufficiale della Polizia di Stato, intervenuti per rimuovere un’Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivo.

Dicevamo della sentenza depositata al tribunale di Caltanissetta, una mole di 1.856 pagine suddivisa in 12 capitoli; un lavoro di minuziosa ricostruzione degli eventi firmato dal presidente Antonio Balsamo e dal giudice a latere Janos Barlotti. Quella del 30 Giugno 2018 è una data che segna uno spartiacque tra il prima ed il dopo, in quanto fissa in modo chiaro i misteri non ancora risolti ed indica una strada per il proseguo delle indagini.

Sono indagini che hanno una direzione ben precisa; il cuore dello Stato. E’ lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi, questo è quanto si legge nelle motivazioni. Gli uomini dello Stato che vengono direttamente chiamati in causa sono alcuni investigatori che lavoravano a stretto contatto con Falcone e Borsellino e che venivano guidati dall’allora capo della mobile Arnaldo La Barbera: Il loro compito era chiaro e paradossalmente semplice, scoprire i responsabili delle bombe, invece costruirono una narrazione del tutto falsa con la creazione di falsi pentiti che testimoniarono dopo essere stati edotti con le buone e con le cattive.

Uno di questi è Scarantino, alla quale vennero suggerite delle circostanze del tutto corrispondenti al vero, si legge nella motivazione; ad esempio il furto della 126 rubata mediante la rottura del bloccasterzo è la stessa storia che venne raccontata nel 2008 dal pentito Gaspare Spatuzza, dal quale nasce la domanda: come facevano gli investigatori a sapere della 126? E’ opportuno ritenere che tali circostanze siano state suggerite a Scarantino da soggetti terzi che le avevano apprese a sua volta da altre fonti che sono rimaste nell’ombra. Si perché tutta la storia dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio è un gioco di ombre nella quale la verità sta li, ma è impossibile da vedere in quanto nascosta dalle ombre.

Un’altra domanda che ci si pone è: Chi ispirò i suggeritori? La Corte ricorda quanto avvenne il 13 Agosto del 1992: il Sisde di Palermo comunicò alla sede centrale che la polizia locale aveva acquisito elementi innovativi ed esclusivi sull’autobomba. La Corte rileva come sia del tutto inusuale l’atteggiamento di Tinebra, all’epoca procuratore di Caltanissetta, di richiedere la collaborazione di Bruno Contrada nelle indagini che era il numero tre del Sisde; Contrada che venne poi arrestato per mafia dai Pm di Palermo nel Dicembre del 1992.

Perché la richiesta fu ritenuta inusuale? Per il semplice fatto che Contrada non rivestiva la qualifica di ufficiale di Polizia Giudiziaria e soprattutto perché tanta rapidità nel richiedere il suo intervento a nemmeno 24 ore dalla strage di Via D’Amelio? Visto che nei 57 giorni che separarono la morte di Falcone da quella di Borsellino, il giudice fece più volte richiesta di poter essere ascoltato. Una richiesta che rimase inascoltata. Con il Sisde collaborava anche il capo della mobile La Barbara, come viene puntualmente ricordato nella sentenza che scrive per la prima volta: “C’è un collegamento tra il depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino”. La Barbera, stando ai giudici di Caltanissetta, è intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda come è evidenziato dalla reazione nei confronti di Lucia Borsellino.

La strage di via D’Amelio ebbe un macabro contorno di poliziotti corrotti, alti funzionari infedeli che crearono false piste e falsi pentiti per depistare le indagini, ma non furono solo loro a non fare il lavoro per la quale erano preposti, vi furono anche magistrati distratti e per niente professionali. C’è una matassa costituita da un insieme di fattori che avrebbe consigliato un maggiore approfondimento e un’attenzione maggiore soprattutto nel prendere per buone le rivelazioni di Scarantino, che vennero assunte come verità rivoluzionarie. Ci furono anche Pm come la Boccassini e Saieva che avevano messo in guardia i colleghi siciliani dal credere a Scarantino, ma rimasero inascoltati perché è così che si insabbiano le storie e le indagini, lasciando la verità nell’ombra.

di Sebastiano Lo Monaco

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