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Siria. I “ribelli” costituiscono un governo con i soldi sauditi

Il principe saudita Bandar

di Manuela Comito

Da più di due anni i gruppi terroristici armati stanno insanguinando e devastando la Siria, minando la stabilità politica ed economica del Paese e distruggendone il patrimonio artistico e culturale, il tutto in nome di una presunta libertà che ha ferito al cuore la culla di una civiltà millenaria. A dispetto di quanto avviene sul campo di battaglia, dove l’esercito riprende gradualmente il controllo, questi sedicenti “ribelli” ricevono oggi legittimazione politica.

Secondo quanto riferito dall’agenzia Sana, dopo mesi di annunci e rinvii i gruppi “ribelli” hanno istituito un governo ombra che ha il compito di amministrare le zona della Siria che non sono sotto il controllo governativo.

L’annuncio è arrivato ieri da Istambul, dopo che le fazioni da cui è costituita la cosiddetta “Coalizione nazionale siriana” (Cns), con a capo Ahmad Jarba, uomo dichiaratamente vicino alla politica saudita, hanno votato le candidature proposte dal premier incaricato Ahmad Tohme. Secondo quanto riporta Al Manar, la coalizione ha annunciato i ministri che sono stati concordati nel corso della riunione dell’Assemblea Generale: il vice Primo Ministro Iyad Qudsi, Mustafa Assaied per il Ministero della Difesa, Ibrahim Miro per il Ministero delle Finanze e dell’Economia, Mohammad Yasin Najjar per il Ministero delle Telecomunicazioni e dell’Industria, Othman Bedewy per l’Amministrazione Locale, Fayez Zaher per il Ministero della Giustizia, Elias Wardeh  per l’Energia e l’Allevamento, Walid Zubi per le Infrastrutture e l’Agricoltura e Taghreed al Hajali per il Ministero della Cultura e degli Affari di famiglia.

L’Arabia Saudita ha stanziato 300 milioni di dollari per la formazione di questo “governo di transizione” che avrà sede a Gaziantep, una piccola città situata nel sud della Turchia a circa 30 km a nord del confine con la Siria. Si teme che questi finanziamenti, che ufficialmente servono alla costituzione del governo di transizione, siano in realtà destinati a foraggiare i vari gruppi di opposizione armata, in particolare quelli affiliati ad al-Qaeda. Nonostante l’appoggio occidentale e dei loro alleati nella regione, gli osservatori nutrono forti dubbi sulla capacità di questo governo non solo di amministrare, ma addirittura di riuscire a superare i conflitti interni alla coalizione, che rispecchiano ampiamente le tensioni tra le diverse fazioni dell’opposizione siriana.

Da notare che Minzer Makhous, membro della commissione generale della Coalizione di Doha, ha ammesso che la coalizione è totalmente vincolata alle potenze occidentali, e che il suo ”progetto” non ha minimamente tenuto conto della volontà del popolo siriano. In tal senso, ha affermato che “non è un progetto realizzato dalla Coalizione, ma piuttosto un progetto internazionale-arabo”, subordinato al consenso di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Qatar, Arabia Saudita e Turchia, che hanno scritto delle “note” di correzione in fase di stesura del progetto, il quale è stato riformulato, tenendo conto delle note, per essere in seguito adottato dalla Lega Araba.

Le condizioni dettate si rivelano essere gli ultimi tasselli mancanti di un mosaico che non persegue una risoluzione pacifica del conflitto in termini di benefici per il popolo siriano, ma pone l’accento sugli interessi delle maggiori potenze occidentali, chiari fin dalla primissime fasi del conflitto.

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