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Quirra: la terra di tutti, la terra di nessuno

Quirra – Quando si tratta di educare la popolazione su diversi temi sociali l’Italia non si tira indietro, fra spot progresso e campagne di sensibilizzazione abbiamo imparato a vedere gli evasori delle tasse come parassiti della società, sull’abbandono dei cani sulle nostre strade o l’uso del casco sullo scooter che può salvare la vita.

Eppure l’Italia, questa lunga distesa di bellissima terra, da un lato vuole dei cittadini che siano consapevoli e al sicuro, dall’altro li lascia disinformati, mette a tacere, nega responsabilità. Tutte colpe gravi quando si parla di danni all’ambiente e gravi rischi per la salute degli uomini e degli animali.

È quello che accade in Sardegna, più precisamente nella zona sud-orientale dell’isola dove si trova il poligono sperimentale e di addestramento delle interforze del Salto di Quirra, suddiviso in “poligono di terra”, che si estende per 12mila ettari, e “poligono di mare” che occupa altri duemila ettari di superficie e 50 km di costa fra Capo Bellavista e Capo San Lorenzo.

La base è operativa dal 1956, anno della sua costituzione, e al suo interno lavora personale dell’Aeronautica militare, dell’Esercito italiano e della Marina italiana. Essa non è però una semplice base dedita all’addestramento militare e la messa appunto di nuovi velivoli, ma opera da vero e proprio centro di sperimentazione di missili, razzi e sistemi d’arma complessi.

A Quirra si muore in silenzio

Il problema sorge quando in quella zona gli abitanti, per lo più pastori, cominciano ad ammalarsi e morire per gravi leucemie, con un’incrementarsi di casi di tumori insoliti.

Anche gli animali cominciano ad ammalarsi e si verificano nascite di agnelli e altro bestiame con orribili malformazioni, ma le anomalie vengono denunciate solo nel 2000 direttamente dal sindaco di Villaputzu. Tale denuncia non dev’essere servita a molto se all’interno del poligono tutto continua a svolgersi tranquillamente fino al 2011, quando partono le indagini su ordine della Procura della Repubblica di Lanusei; seguono i sequestri dei bersagli e gli accertamenti del caso.

Stranamente, dall’inchiesta non emergerà alcuna correlazione fra le sperimentazioni e la maggiore incidenza di malattie in quell’area. Fatto è che non saranno solo gli abitanti ad ammalarsi, ma anche gli stessi militari operanti nella base. Il veleno mortale che lentamente fa ammalare uomini e animali sta nelle armi che senza sosta continuano ad essere esplose, espandendo nell’aria le così dette nano particelle. Uranio impoverito, torio e arsenico fluttuano per l’aria, contaminano la terra e inquinare le falde acquifere anche se il poligono diventasse non operativo.

Un politica incapace quando non complice

Ovviamente anche le guerre, vere o simulate, producono spazzatura. Una discarica di materiale bellico si trova addirittura sul fondale marino, evidentemente abbastanza pericolosa da dover disporre l’interdizione alla navigazione in una zona di mare di 100 ettari a non troppa distanza da Capo San Lorenzo.

Parliamo della Sardegna, non dimentichiamolo, una delle regioni italiane con un patrimonio naturalistico di indubbia bellezza, calpestato per sempre. Neanche la Commissione Parlamentare d’inchiesta ha dato ragione agli abitanti. Si muore troppo presto a Quirra, si muore troppo di tumori, ma non per l’uranio, hanno sentenziato.

Dovrebbero bastarci tutte queste rassicurazioni, ma il fatto che quella sia un’area in cui qualunque Paese del mondo possa venire a sperimentare i suoi giocattoli da guerra, non ci rende affatto tranquilli. Persino la popolazione adesso si ritrova a non voler più parlare di questa storia. C’è crisi, parlarne vuol dire dare una brutta impressione della zona, perdere turisti, perdere lavoro, perdere anni e anni di sacrifici a coltivar la terra e ad allevare bestiame.

Così, hanno fatto di Quirra la terra di tutti, violata, azzittita, sfruttata per amore della sperimentazione di future guerre che nessuno vorrebbe mai vivere. È la terra di nessuno perché molti di quelli che dovrebbero proteggerla hanno rinunciato ad affermare il diritto di vivere e respirare l’aria di casa propria senza l’abitudine alla paura. Servirebbe, forse, una campagna di sensibilizzazione sull’importanza di difendere la propria terra?

di Anna Lisa Maugeri

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