Primarie Usa 2016: quali scenari si aprono?
di Salvo Ardizzone
La lunga sfida delle primarie Usa è finita: dopo la vittoria di Trump, rimasto da tempo l’unico candidato repubblicano, Hillary Clinton, sia pur sfiancata dall’irriducibile resistenza oppostale da Sanders, s’è assicurata i delegati che le garantiscono la nomination democratica alla convention di Filadelfia il 25 luglio.
È stata una competizione dura che lascia un’inedita tripartizione del Paese; al tradizionale blocco democratico, con una vaga verniciatura liberal e sostenuto da lobby, finanza e apparati di potere, rappresentato dalla Clinton, se ne sono opposti due inediti, che hanno sorpreso gli establishment dei partiti e i commentatori: il populismo coagulatosi intorno a Trump e l’area radicale catalizzata da Sanders.
Trump ha incarnato il populismo dell’America profonda, la xenofobia, il razzismo, la chiusura di ceti in genere poco scolarizzati, che vedono con paura il cambiamento e guardano con rabbia il Sistema politico-economico lontano quanto rapace di Washington e Wall Street. Nell’estrema semplificazione fattane da Trump, qualunque diverso da sé è visto come una minaccia e l’unico programma è fatto di invettive, di slogan rozzi che promettono un ritorno ad un passato immaginario mai esistito di benessere. Non ci vuol molto per trovare esempi dalle nostre parti.
Il tycoon newyorkese ha saputo coagulare attorno a sé il consenso crescente di gente che voleva sentir gridare la propria rabbia, la propria incomprensione del presente, le proprie paure; in questo modo ha lasciato per strada le sbiadite figure dei concorrenti alla nomination fino a costringere il partito repubblicano ad affidarsi a lui, pur con una fortissima reticenza che continua a montare ad ogni sua sparata (memorabile è l’ultima contro un giudice di origini ispaniche reo d’averlo condannato per una sua ennesima vicenda di bancarotta: vi ricorda qualcosa?), e che spinge una vasta parte dei tradizionali elettori dell’Old Party a dichiarare che non lo voterà.
Ma se la presenza di una parte di elettorato tipicamente populista e bigotto era ben noto e spesso corteggiato dai politici Usa, l’area radicale catalizzata da Sanders è un’autentica novità. Il movimento di “Occupy Wall Street” era stato solo un momentaneo fuoco di paglia presto svanito e nessuno avrebbe pensato mai che un politico di 74 anni, estraneo al partito democratico a cui ha aderito solo un mese prima dell’inizio delle primarie per potersi candidare, senza lobby o poteri forti che l’appoggiassero e per giunta dichiaratosi socialista in un Paese in cui dirlo equivale a una bestemmia, potesse non solo contendere la nomination alla mostruosa macchina elettorale della Clinton ma batterla più volte e suscitare attorno a sé un interesse e un movimento sempre più grandi.
Sanders non lo ha fatto per calcolo elettorale: da vecchio politico sapeva fin dall’inizio che la nomination democratica era irraggiungibile per un estraneo all’establishment; la sua è stata una battaglia politica per spostare a sinistra quel partito grazie alla crescente mobilitazione degli elettori.
Rifiutando fino in fondo di abbandonare la partita, ha costretto l’ex first lady a seguirlo sulle sue proposte; adesso, una Clinton indebolita deve necessariamente recuperare l’elettorato di sinistra che ha seguito Sanders con entusiasmo crescente, se non vuole correre il rischio concreto d’essere battuta da Trump. È questo a cui mirava il vecchio Senatore del Vermont: far si che alcune delle sue proposte, appoggiate dal consenso di milioni di elettori accorsi a votare per lui alle primarie, vengano ufficialmente inserite nella piattaforma programmatica della convention di Filadelfia; ed ha già ottenuto che cinque suoi collaboratori siano fra i quindici membri della commissione incaricata di redigerla.
Sanità ed università gratuite per tutti, più tasse per i ricchi e più sussidi per i disagiati, stretta sullo strapotere di Wall Street e delle multinazionali, limiti alla presa delle lobby sulla politica; sono alcune delle sue idee su cui sono già in corso trattative. Idee radicali per la società statunitense ed è per questo che è stata chiesta la mediazione di Barak Obama, impaziente di poter unire alla base tradizionale del partito il vasto consenso suscitato da Sanders.
È difficile che tutte le sue proposte possano essere accolte fino in fondo, ma la consapevolezza che la base elettorale si è spostata a sinistra, unita alla paura concreta di una sconfitta da parte un Trump che sta mobilitando l’America profonda in nome di un cambiamento posticcio, ma pur sempre cambiamento, possono garantire un successo inaspettato al progetto del vecchio Senatore.