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L’Ue verso nuove strategie sui consumi energetici

di Salvo Ardizzone

Da tempo i focolai di crisi si moltiplicano nel mondo e l’Ue, che si credeva un’isola felice, oggi si ritrova a fare i conti con il pasticcio ucraino e si scopre indifesa. Gazprom ha deciso d’interrompere le forniture a Kiev, le riprenderà solo dietro pagamento anticipato; per ora ha dichiarato che manterrà i contratti con la Ue (in fondo Mosca per prima ha bisogno di vendere in Europa), ma restano da vedere gli sviluppi d’una situazione che sembra destinata a incancrenirsi. In ogni caso, se l’Ucraina preleverà gas destinato altrove dalla rete che passa sul suo territorio, come già accaduto varie volte nel corso delle ricorrenti crisi passate, Gazprom interromperà il flusso. In poche parole, anche se si tratta di un’arma a doppio taglio, Putin si riserva d’usare il metano come ultimo strumento di pressione.

Ed è una pressione forte: la Ue importa il 53% dell’energia che consuma, e, più in dettaglio, il 42% del carbone, il 66% del gas e l’88% del petrolio, per una bolletta di oltre un mld al giorno, di cui oltre un terzo va alla Russia (di qui le esitazioni di Mosca a rompere su due piedi con un cliente così importante) perché il 39% del gas e il 33% del petrolio viene da là.

Bruxelles si rende conto che si tratta di una dipendenza insostenibile, e una nuova strategia energetica sarà all’esame del Consiglio Europeo, debuttando col semestre di presidenza italiana che ne sarà investito. Certo l’Unione non s’aspetta di arrivare all’autosufficienza, ma intende mettere in atto una serie di misure indirizzate a migliorare una situazione troppo sbilanciata; in questa ottica spingerà i Paesi a utilizzare al massimo le risorse disponibili, troppo spesso trascurate, da un lato incentivando ulteriormente la produzione d’energia da fonti rinnovabili, dall’altro quella realizzata in maniera sostenibile da fonti fossili (alle volte demonizzate a prescindere dalle tecnologie applicate).

Per diversificare i fornitori (oltre al gas russo, un 33% arriva dalla Norvegia e un 22% dal Nord Africa), l’Ue intende aprire nuove linee di fornitura da un canto costruendo terminali di rigassificazione per il gas naturale liquefatto (che alla bisogna può arrivare da mezzo mondo senza bisogno di gasdotti), dall’altro sviluppando e potenziando la connessione con il gas azero (vedi il preventivato gasdotto Tap da 10 mld di mc che possono essere aumentati a 20). Qui si innesta la disputa con la Bulgaria in merito alla costruzione del South Stream, ora sospeso per violazione delle norme Ue sugli appalti. Quel gasdotto, avviato da Gazprom ed Eni, porterebbe un fiume di metano nei Balcani e nel Centro Europa bypassando l’Ucraina, ma aumenterebbe ancor di più la dipendenza dell’Unione dal Kremlino, che non è esattamente quello che Bruxelles auspica al momento.

A sostegno di queste iniziative, l’Ue vuole potenziare le capacità di stoccaggio e inoltre intraprendere misure per incentivare le reti per la circolazione di energia fra i Paesi dell’Unione. In questo modo si otterranno almeno due risultati: una maggiore sicurezza d’approvvigionamento e la creazione d’un vero mercato interno interconnesso per la circolazione di energia, con la nascita d’una vera concorrenza e prezzi più omogenei.

Sotto tutti questi profili l’Italia è messa male: ha altissimi consumi di gas, perché, come abbiamo già detto altrove, ha puntato tutto sul metano per la produzione d’energia e riscaldamento, e dovrà fare tanto sul versante dell’efficienza degli impianti per diminuire i consumi. Inoltre, quanto a infrastrutture, sconta un notevole ritardo dovuto ad un insieme di fattori: legislazione complicata, la solita burocrazia ottusa quanto inefficiente e la preconcetta ostilità di molte comunità locali alla realizzazione di impianti; comunque sia, ha un disperato bisogno di rigassificatori e impianti di stoccaggio. Inoltre, per abbassare l’abnorme domanda di gas, dovrà vagliare il passaggio ad altre tecnologie di produzione elettrica e di riscaldamento.

Per supportare questa strategia complessiva, Bruxelles ha identificato 33 progetti (27 per il gas e 6 per l’elettricità) considerati d’importanza cruciale, per una spesa complessiva pari a 17 mld di €, che vuole vedere realizzati entro il 2017 anche attraverso procedure straordinarie. Inoltre, s’è data l’ulteriore obiettivo d’interconnessione elettrica fra i Paesi al 15%, francamente assai ambizioso (per non dire irrealistico) ma qualunque miglioramento dall’attuale misero 8% è benvenuto.

Il punto chiave, che almeno a parole è riconosciuto, è che la sovranità si realizza e si tutela anche quando gli Stati possono garantire risorse ed energie ai propri Sistemi Paese a prezzi ragionevoli e senza condizionamenti, coerentemente alle politiche che le Nazioni ritengono liberamente di sviluppare.

Facile a dirsi, assai più difficile da mettere in pratica (ammesso che molti Governi l’abbiano come scopo), soprattutto nello scenario attuale; tuttavia ci sembra che, in Europa, un coordinamento delle politiche nazionali dell’energia sia ineludibile, vista l’assoluta rilevanza del tema. Ma attenzione! Abbiamo detto coordinamento, non acquiescenza alle decisioni altrui, lobby o Stato egemone che sia.

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