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23 maggio, ipocrisia del ricordo di un siciliano onesto

23 maggio 1992 – La prima espressione che esce spontaneamente è la seguente: che pena! La pena è un sentimento umano che indica un’empatica pietà, verso chi subisce qualche torto, ma anche verso chi perpetua qualche torto.

La pena verso questa seconda categoria di persone, è forse quella che purifica maggiormente l’animo di chi la prova, sembra quasi essere una testimonianza diretta di come, per fortuna, si è lontani anni luce dal fare un’azione per il quale poter provare disprezzo.

Ecco, vedere tutte quelle fasce tricolori nelle varie passerelle di ricordo dell’attentato di Capaci, suscita nel sottoscritto, e nei siciliani che credono in un riscatto dell’isola, una certa pena verso chi applaude ad un nome di una persona morta per le proprie lotte e poi, finita la cerimonia, continua ad amministrare per nome e per conto di un sistema che si è reso responsabile dell’isolamento e dell’uccisione del giudice Falcone.

Suscita pena inoltre vedere come lo Stato, in tutte le sue forme ed istituzioni, tenta di accaparrarsi la paternità delle azioni di Falcone: “Falcone è un eroe dello Stato”, si dice spesso nelle celebrazioni, quasi a voler tenersi stretta una figura che però è stata uccisa per colpe dolose o colpose (lo dirà la storia questo) dello stesso Stato. È come se prima contribuisco a dar fuoco ad un’abitazione e poi applaudo gli operai che si accingono ad aggiustarla.

Quella “trattativa” che nessuno vuole ammettere

È troppo comodo, dopo aver accertato la connivenza, chiamata benevolmente trattativa, tra apparati statali ed organizzazioni mafiose, oggi arrivare con coccarde e fasce tricolori e con relative auto blu, in quella lingua di autostrada in cui è saltata in aria una figura che voleva il riscatto della Sicilia, assieme alla moglie e ad altri uomini della scorta.

Ma di certo, è quella classe dirigente che alla mafia deve molto. Forse, è anche per questo che ogni anno si scende a Palermo, il cui viaggio con aerei di stato e scorte, serve quasi a coprire e stanare ogni sospetto di chi crede nell’emergere della verità.

Chissà se qualcuno dei politici presenti sul tratto di autostrada in cui Brusca, o chi per lui, azionò l’esplosivo, venga in mente quel racconto di Edgar Allan Poe, in cui l’omicida sente il cuore della vittima battere sotto il pavimento e, morso dai sensi di colpa, confessa tutto ciò che aveva commesso: se sotto quel ciglio di asfalto qualche politico sente il cuore battere, è ancora quello di Giovanni Falcone e della sua scorta, ma a differenza della storia del poeta americano, nessuno ha ancora voglia di dire la verità.

23 maggio e la politica che non conosce vergogna

Nel frattempo, i siciliani devono ancora sorbirsi le mille parole ed i tanti applausi delle cerimonie di circostanza: Giovanni Falcone, come detto prima, vorrebbe essere fatto passare non come vittima di uno Stato cresciuto anche grazie ai favori della mafia, ma come eroe di Stato, come eroe di una Repubblica divorata e fatta a pezzi dai poteri forti e loschi che dalla Sicilia, a Roma e Milano hanno letteralmente comprato l’intero Paese.

Eppure, in questo contesto così apparentemente grigio, le note positive ci sono: molti più giovani, venerano Falcone per quello che realmente era, ossia un palermitano che amava la giustizia, non solo legale, ma anche sociale e culturale; un figlio di una Palermo che gli ha voltato le spalle, ma che oggi lo ricorda snobbando passerelle e farse attuate da politici e ministri.

Se oggi c’è ancora chi crede ad un’isola che possa estraniarsi dai giochi di potere nazionali e soprattutto internazionali che la attanagliano, è grazie alle vite di Falcone, del pool antimafia, ma anche dei tanti giornalisti e semplici cittadini, morti per non essersi piegati ai vari ricatti; Falcone, vive in tutti coloro che amano la terra, che la difendono, che hanno la forza di alzare la testa ed innamorarsi del sole siculo.

Le passerelle ipocrite, rimangano pure confinate nei vari comizi con fascia tricolore svolti in giro per l’isola; per chi ricorda quel drammatico 23 maggio e poi continua ad agevolare non tanto l’associazione mafiosa, ma l’atteggiamento mafioso in Sicilia, può rimanere soltanto un’umana e spietata pena.

di Redazione

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