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L’inferno dei bambini palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane

Sono 99 i bambini palestinesi attualmente detenuti nel carcere israeliano di Ofer, secondo quanto ha dichiarato alla stampa Abdel Fattah Dawla, rappresentante dei minori palestinesi detenuti. Di questi, almeno 25 sono stati tratti in arresto (si legga “rapiti”) nel solo mese di marzo e 20 soffrono di gravi problemi di salute. Secondo il Palestinian group Military Court Watch, alla fine del dicembre 2014, 151 bambini palestinesi sono stati trattenuti nelle carceri israeliane con la condizione di “prigionieri per la sicurezza”. La Palestinian Prisoners Society, ha denunciato le pratiche disumane a cui le autorità israeliane sottopongono i minori palestinesi arrestati, a partire proprio dalle ‘modalità’ dell’arresto: nella stragrande maggioranza dei casi, i bambini vengono sequestrati durante i rastrellamenti e le incursioni notturne dei militari israeliani nelle abitazioni palestinesi. Una volta tratti in arresto, vengono sottoposti a interrogatori senza la presenza dei genitori né di un avvocato. La maggior parte dei minori riferisce di essere sottoposto a maltrattamenti al fine di estorcere confessioni. I maltrattamenti includono schiaffi, percosse, calci e abusi verbali.

Nel 2009 il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura stilò alcune raccomandazioni per la tutela dei diritti dei detenuti, una delle quali obbligava le autorità carcerarie a videoregistrare gli interrogatori. Ovviamente nulla è stato fatto in tal senso. Ofer vanta il triste primato, rispetto alle prigioni di HaSharon e Megiddo, del maggior numero di bambini palestinesi detenuti. Le forze di occupazione israeliane arrestano ogni anno circa mille minori. Di essi, 700 già a 12 anni vengono giudicati dai tribunali militari cosa che, secondo quanto denunciato dall’Unicef, avviene solo in Israele. Quasi per tutti l’accusa è di aver tirato pietre contro i soldati, reato punibile per le leggi militari con 20 anni di carcere. La legge militare israeliana consente di trattenere i minori palestinesi in prigione per 90 giorni senza avvocato, e per 180 senza capo di imputazione.

Nel 2009 Defence for Children International–Palestine Section ha reso pubblico un dettagliatissimo rapporto sulle condizioni dei minori palestinesi tratti in arresto dalle autorità israeliane. In esso, intitolato “Palestinian Child Prisoners – The systematic and institutionalised ill-treatment and torture of Palestinian children by Israeli authorities”, non solo sono esposte le ‘modalità’ mediante le quali avvengono gli arresti, ma sono riportate le agghiaccianti testimonianze delle piccole vittime. Ne riportiamo solo due, per provare a rendere l’idea dell’orrore che vivono i bambini palestinesi nelle prigioni israeliane: Mahmoud D. (17 anni): “Sono passato dalla mia vita normale in casa alle manette, alla privazione del sonno, alle urla, alle minacce, ai continui interrogatori in cui mi venivano lanciate accuse che non capivo. In queste circostanze la vita diventa oscura, piena di paura e pessimismo. Non trovo le parole per descrivere quei giorni”. Ezzat H. (10 anni): “Un soldato puntò il fucile contro di me. La canna del fucile era a pochi centimetri dal mio viso. Ero così terrorizzato che ho cominciato a tremare. Lui mi prendeva in giro e mi disse “Tremi? Dimmi dov’è la pistola prima che ti spari”.

Testimonianze agghiaccianti e storie dolorose contenute anche nel dossier “Vite di palestinesi nelle carceri di Israele” che nell’aprile 2013 la Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese ha reso pubblico. In esso, nel capitolo dedicato ai bambini detenuti da Israele, si legge: “La politica israeliana di arresto dei minori ha uno scopo chiaro: privare la Palestina dell’energia delle generazioni future e spezzare alla radice la resistenza della popolazione contro l’occupazione militare. “L’iniziale obiettivo di Israele – spiega Rifat Kassis, direttore dell’associazione palestinese Defence for Children International (Dci), che da oltre vent’anni documenta i soprusi contro i bambini palestinesi – era racchiuso in uno slogan: ‘Le vecchie generazioni moriranno, le nuove dimenticheranno’. Questo non è avvenuto. Le nuove generazioni sono più radicali e informate delle precedenti. Conoscono la loro storia, la storia delle loro famiglie e quella della Palestina”. “Per questo – prosegue Kassis – ora l’obiettivo è cambiato: spezzare la resistenza dei giovani arrestandoli e traumatizzandoli per renderli innocui”. All’interno della prigione, dall’interrogatorio alla detenzione, Israele opera costantemente per rompere l’equilibrio psico-fisico dei bambini palestinesi: violenze fisiche e mentali provocano conseguenze a lungo termine sulla loro capacità di avere una vita sociale e familiare sana, una volta rientrati nelle proprio ambiente di riferimento. Colpire i bambini significa disintegrare la capacità di lotta della nuova generazione, ma anche dei padri e delle madri, intimoriti dalla possibilità che i figli subiscano violenze e abusi”.

di Manuela Comito

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