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Lezioni di razzismo dalla “democratica” Israele

di Manuela Comito

Il Parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato martedì 10 dicembre una nuova legge sull’immigrazione clandestina, secondo la quale gli immigrati potranno essere detenuti per un massimo di 12 mesi nelle carceri israeliane, senza alcun processo, prima di venire estradati nei loro Paesi d’origine o che volontariamente e con propri mezzi decidano di farvi ritorno. Secondo quanto riporta Ma’an, questa legge, fortemente sostenuta del governo, modifica il precedente decreto legge del 2012, in base al quale gli immigrati clandestini potevano essere trattenuti fino a un massimo di 3 anni senza processo; decreto che è stato contestato e ribaltato nel mese di settembre dalla Corte Suprema israeliana.

La nuova legge, approvata a tarda notte dalla Knesset con 30 voti a favore e 15 contrari, è stato l’ultimo di una serie di provvedimenti mirati a contenere l’immigrazione illegale nei Territori Occupati palestinesi, soprattutto da parte degli africani che, secondo il governo di Tel Aviv, costituirebbero una minaccia al “carattere ebraico” dello Stato. Il provvedimento legittima il governo israeliano a detenere i clandestini in complessi denominati “impianti aperti” e i detenuti di queste strutture non avranno diritto al lavoro. Già nel 2012, il governo israeliano aveva iniziato la costruzione di un recinto lungo il confine con l’Egitto, per controllare l’ingresso di clandestini. Inoltre, a novembre di quest’anno sono state approvate delle misure volte a scoraggiare i datori di lavoro ad assumere manodopera di origine africana e sono stati messi a disposizione degli incentivi economici per coloro che si mostrano disposti a tornare volontariamente nel loro Paese d’origine.

Proprio in queste ore è stato inaugurato un centro di detenzione per immigrati clandestini gestito dal Servizio Carceri israeliane, che sarà aperto durante il giorno e chiuso di notte; inizialmente ospiterà circa 3 mila persone, ma si stima che il numero dei detenuti possa salire vertiginosamente fino a raggiungere le 11 mila unità, secondo quanto riferito dal giornale Haaretz. Il partito Likud del Premier Netanyahu si dice estremamente soddisfatto della linea dura messa in atto dal governo contro l’immigrazione clandestina; per nulla soddisfatti, invece, alcuni esponenti del partito di sinistra Meretz, tra cui Tamar Zandberg, che considerano eccessivamente severa la legge appena approvata e intendono opporvisi dinanzi alla Corte Suprema.

Si sono mobilitate contro questa legge anche molte organizzazioni per i diritti umani, che ritengono che gli immigrati giunti in Israele abbiano il diritto di risiedervi dal momento che se tornassero in Sudan o in Eritrea (i Paesi da cui provengono), la loro vita sarebbe in pericolo. Va sottolineato che più di 50 mila immigrati africani lavorano attualmente in Israele, mal retribuiti e in condizioni precarie. Secondo l’ultimo rapporto OCSE, Israele ha il più basso tenore di vita tra i 35 membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Nella sua indagine economica per il 2013, l’organizzazione afferma che: “I redditi di una famiglia israeliana su 5 scendono al di sotto della soglia di povertà”. Negli ultimi mesi l’eccessiva percentuale di israeliani che ha lasciato il Paese per trasferirsi in Germania e negli Stati Uniti conferma la realtà messa in luce dalla relazione dell’OCSE.

Secondo quanto riporta Press Tv, sempre più frequentemente gli israeliani scendono in piazza contro il loro governo che impone tasse sempre più esose e ha tagliato le prestazioni sociali. Israele mostra il suo vero volto razzista e tutt’altro che democratico non solo contro i Palestinesi o contro gli immigrati clandestini, ma addirittura contro i suoi stessi cittadini.

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