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Le lobby delle banche dettano la politica di Bruxelles

di Salvo Ardizzone

Per la seconda legislatura consecutiva la Commissione Europea non ha introdotto il registro obbligatorio delle lobby (che da sempre influenzano le decisioni della Ue), e l’Europarlamento, per la seconda volta all’ultima sessione, ha approvato la richiesta che venisse introdotto nella legislatura successiva. Ancora una volta ha vinto la resistenza di chi non vuole controlli sul proprio operato.

La mancanza di chiarezza (non parliamo di trasparenza) sull’attività dei circa 2.600 gruppi di pressione e 15mila lobbisti che letteralmente assediano le attività di Bruxelles è storia arcinota, come pure la capacità di condizionamento e interdizione di quei gruppi organizzati, foraggiati dai diversi centri di potere per piegare le politiche europee ai propri fini.

Con 1.700 addetti impegnati, quello dei lobbisti del settore finanziario è il gruppo più potente, che ha mostrato durante la crisi finanziaria la straordinaria capacità di pressione di cui è capace, e la colossale portata degli interessi che è riuscito a muovere. Come ha dichiarato Gianni Pittella, vicepresidente dell’Europarlamento, “le pressioni delle lobby bancarie sono state fortissime; obiettivo della prossima legislatura dovrebbe essere ridurre e controllare questo tipo di influenze”. Premesso che riteniamo altamente improbabile che Commissione e Parlamento riescano a imbrigliarle (ammesso che lo vogliano seriamente, e ne dubitiamo), è un fatto che le riforme bancarie siano state ostacolate ed enormemente “annacquate” da quello che il Ceo (Corporate Europe Observatory), organismo specializzato nel monitoraggio delle lobby, ha definito la “capacità di fuoco” di chi ha a disposizione centinaia di milioni per introdurre l’emendamento dell’ultimo istante, capace di far saltare regole a tutela di 500 milioni di europei.

E la mancanza di trasparenza e controlli moltiplica i rischi di tangenti, spesso chiamati più pudicamente “regali”; un’inchiesta del Sunday Times ha confermato l’esistenza d’un mercato sommerso degli emendamenti a pagamento, e per capire di che cifre parliamo, basta ricordare la “presunta” richiesta di tangente da 60 ml di € a una lobby del tabacco, che ha condotto alle dimissioni del Commissario Ue per la Salute, il maltese John Dalli.

Ma per tornare al’operato della lobby finanziaria, basta ricordare che nel periodo più nero della crisi originata dalla sconsiderata avidità delle banche, è riuscita a dirottare su di esse una massa enorme di miliardi dei contribuenti europei, per tamponare i danni da esse stesse provocati. È stata una mega pioggia di aiuti di stato (almeno 82 mld nel Regno Unito, 62 in Germania) e da parte della Ue, con gli oltre mille mld di Ltro, i 110 del Mro, e i 650 messi a bilancio dal Fondo salva Stati. Inoltre, ha orientato le politiche comunitarie verso un’ossessiva austerità, provocando disoccupazione e povertà, e avviando verso la recessione l’intera Europa. La stessa che, dopo i circa 2mila (2mila!) miliardi messi in gioco a vario titolo per il sistema bancario, riesce a trovarne solo 6 (6!) per fronteggiare la disoccupazione giovanile con il progetto Youth guarantee, e poche altre briciole per il rilancio della crescita e il sostegno alle piccole imprese.

Per evitare i guasti del passato, ai cittadini europei è stata promessa l’Unione bancaria, che con un insieme di norme avrebbe dovuto controllare gli Istituti, evitare nuovi salassi di denaro dei contribuenti per il salvataggio di banche e garantire i depositi fino a 100mila €. Il programma prevedeva di centralizzare il controllo delle Bce sulle 6mila banche europee tramite l’Eba, ma l’opposizione è stata feroce, soprattutto spinta dalle Sparkasse tedesche legate a doppio filo alla politica; risultato: il controllo sarà limitato alle circa 130 banche più grandi, per le altre tutto rimane in alto mare. E ancora, gli Istituti di Credito dovevano finanziare un fondo per i salvataggi, ma è stato ridotto a 55 mld (assai meno di quanto versato da singoli stati durante la crisi) e i versamenti dilazionati in otto anni; e nel frattempo? E se non dovessero bastare dinanzi al riaccendersi di una crisi? Saranno ancora gli Stati a metter mano al portafogli, levando ancora risorse all’economia reale e ai cittadini. Infine, doveva essere istituito il Fondo per garantire i depositi dei correntisti delle banche, ma è stato del tutto rinviato. Come pure, l’invocata regolamentazione che separi l’attività tradizionale degli Istituti Creditizi (prestare denaro all’economia) da quella speculativa degli stessi (spesso fatta coi quattrini dei depositanti) è stata ignobilmente annacquata e rinviata sotto il solito attacco delle lobby.

Lo stesso Europarlamento, che tante volte ha tuonato contro le politiche della Commissione a favore del sistema bancario, ha poi tranquillamente approvato le misure gradite al comparto finanziario, esempio fra tutti, il freno sistematico alle azioni contro il segreto bancario e l’evasione fiscale.

Il fatto è che si tratta di materie molto “tecniche”, a cui la massa dei parlamentari (e non solo loro) è troppo spesso assolutamente impreparata, rimanendo facile preda di burocrati e professionisti del settore, ammesso che abbiano qualche idea sui problemi. Se ciò è vero in generale, guardando l’Italia il quadro è desolante; basta vedere il livello dei candidati alle prossime elezioni, per rendersi conto che, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di un’accozzaglia di gente improvvisata, che a Bruxelles avrebbe pressappoco la valenza di turisti.

Dovremmo pensarci quando improbabili guitti e vecchi tromboni promettono di “battere i pugni sui tavoli” e “rivoltare la Ue come un calzino”; sarebbe assai più importante (e serio) avere una politica, ma vera, per il Sistema Italia da portare avanti. Ma questo in un Paese normale.

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