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La cinica Merkel apre le porte ai disperati siriani

di Salvo Ardizzone

La decisione della Merkel di aprire le frontiere ai richiedenti asilo, non è frutto di un’improvvisa conversione all’umanitarismo, quanto di un preciso calcolo politico che tiene comunque e sempre al centro gli interessi del Sistema Paese tedesco.

L’Europa, com’è stata disegnata dopo la caduta del Muro da miopi politicanti, non è un soggetto politico, tutt’altro; è un’artificiosa costruzione, volutamente incompiuta, che parla solo di regole economiche, commerciali e finanziarie, dettate nei decenni dai rapporti di forza che sono emersi, e che vedono la Germania dominare.

Berlino ha costruito pazientemente una Ue perfettamente funzionale ai suoi interessi: l’Euro garantisce alle sue esportazioni un cambio assai più competitivo di quanto non farebbe un Marco redivivo; l’Eurozona permette di scaricare sugli altri Stati gli enormi squilibri derivanti da un’economia che per oltre il 70% del Pil dipende dall’export e dal suo indotto.

In poche parole, la Germania ha bisogno dell’Europa, o meglio, non è disposta a rinunciare alla Ue e all’Eurozona per come l’ha plasmata per i suoi fini. Un’Europa diversa semplicemente non la interessa. E questo è stato chiaro nel durissimo negoziato con la Grecia: Berlino era disposta a infrangere l’Eurozona, mettendo fuori la Grecia e ponendo a serio rischio l’intera costruzione, pur di non mettere in discussione i suoi dogmi economici, quelli che le permettono il massimo beneficio.

È ovvio che la brutale forzatura esercitata su Atene (e indirettamente su altri Paesi, Italia in testa) abbia fatto pagare un prezzo alto sia alla Germania, che ha mostrato il suo volto brutale ed egoista, indifferente alle immani sofferenze inflitte al Popolo greco; sia a Bruxelles, che ha dimostrato tutta la sua inconsistenza, prona com’è agli ordini di Berlino.

La Ue non è un soggetto politico, l’abbiamo detto; i Governi dei suoi Stati membri si muovono solo per allinearsi alle direttive politiche di Washington o a quelle economiche della Germania. A prezzo di forti lacerazioni, è riuscita a superare in qualche modo sia le tensioni (che ci sono ancora ed aumentano) per la gestione della crisi ucraina e le sanzioni alla Russia pilotate dalla Casa Bianca, e quelle sulle regole da imporre alle economie dell’Eurozona, manovrate da Berlino; ma ora, indebolita com’era, rischiava di naufragare sullo scoglio dei migranti.

Le tensioni generate dalle due crisi precedenti avevano dato fiato a tutti i partiti euroscettici e messo sotto pressione i Governi. Adesso, dinanzi all’ondata dei migranti, se Bruxelles non si fosse mossa per dare una risposta, la sequenza di elezioni (il 20 settembre in Grecia, il 4 ottobre in Portogallo, il 25 in Polonia, a dicembre in Spagna e così via) con tutta probabilità sarebbe stata una catena di disastri per i partiti di governo, minacciando di far saltare del tutto le traballanti Istituzioni europee già messe in crisi. E questo Berlino non se lo può permettere.

Con la decisione improvvisa di aprire le frontiere, e spingere perché Bruxelles agisca finalmente, Merkel centra in un colpo tre obiettivi. Primo: ottiene un enorme risultato politico, che cancella l’immagine cinica ed utilitaristica di Paese attento solo ai propri interessi, scolpita in tutta la vicenda greca. Con un’iniziativa ammantata di ispirazione morale, riguadagna una leadership indiscussa, capace di mettere in riga un Hollande balbettante, patetico nella sua conferenza stampa congiunta, stretto com’è fra la Cancelliera e il Front National della Le Pen. E costringe pure Cameron a rientrare precipitosamente nel coro, dopo aver dichiarato sfracelli a beneficio di un elettorato sempre più euroscettico; e così via con gli altri.

Certo, resta la frattura, sempre più macroscopica, con i Paesi dell’Est Europa, interessati solo alla contrapposizione con Mosca e sempre più indirizzati a divenire satelliti di Washington. Ma alla Merkel interessa essenzialmente l’Eurozona, non tutta la Ue, e con questa mossa forte pensa di continuare a governarla.

Di qui si passa al secondo obiettivo: facendo muovere la Ue, e facendosene motore su un’iniziativa etichettata come altamente etica, puntella le vacillanti strutture di Bruxelles e ne riprende in mano le redini senza che nessuno possa aprir bocca.

Terzo: aprire le frontiere a centinaia di migliaia di richiedenti asilo (almeno mezzo milione all’anno, ma anche di più) e destinare miliardi di euro per sostenere l’accoglienza (sono stati stanziati già 6,7 Mld) centra un ulteriore obiettivo. Anche se se ne parla assai poco, la Germania è afflitta da un grave problema strutturale che potrebbe determinarne un rapido declino: un drastico invecchiamento della popolazione che sta minacciando gli equilibri demografici, compromettendo le capacità produttive e la sostenibilità complessiva del Sistema Paese.

In poche parole, accogliere centinaia di migliaia, anche milioni di richiedenti asilo, formarli ed immetterli nel sistema produttivo, equivale ad un investimento essenziale per la sopravvivenza dell’economia tedesca. Milioni di braccia a basso costo sono esattamente ciò che serve alle industrie germaniche, costrette sempre più di frequente a far rientrare le produzioni, dopo gli esperimenti di delocalizzazione in Paesi emergenti divenuti sempre meno produttivi e convenienti, e in quei Paesi dell’Est Europa sempre più turbolenti, insicuri ed instabili, in preda a ondate di populismo e di un cieco revanscismo verso Mosca.

C’è questo dietro l’improvvisa apertura della Cancelliera, ed è per questo che, malgrado il radicale cambio di rotta repentino, ha dietro la gran parte del suo partito, i socialdemocratici, le opposizioni verdi e di sinistra, le organizzazioni sociali, sindacali e la stragrande parte di quelle economiche, e con loro le élites tedesche. E gli oppositori dell’iniziativa, xenofobi, neonazisti o semplici conservatori che siano, ben vengano, servono anche quelli allo scopo: sono politicamente irrilevanti, ma servono a dimostrare che la Merkel è disposta a “pagare” un prezzo per una “buona” causa.

Intendiamoci: con ciò che abbiamo detto non sosteniamo che l’iniziativa sia una iattura per le legioni di disperati che tutto hanno perduto, e sono solo in cerca di una vita migliore dell’inferno che hanno abbandonato. Diciamo di chiamare le cose con il loro nome: un affare calcolato per la Germania, non certo una crociata umanitaria.

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