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Italia: arriva il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Salto di qualità o nuovo carrozzone?

di Cristina Amoroso

E’ stato approvato alla Camera il 17 luglio un disegno di legge che il viceministro degli Affari Esteri, Lapo Pistelli ha portato alla discussione testardamente con il Governo Letta e con il Governo Renzi e che alla Camera ha così commentato con un twitter: “Sentire le dichiarazioni di voto finali alla riforma della cooperazione allo sviluppo, dopo sei legislature di tentativi falliti, mi fa un certo nonsochè. Torniamo al Senato per la conferma ma, insomma, è andata. Grazie a tutti, alla cooperazione italiana, alle Ong, a tutti i partiti con cui abbiamo dialogato fittamente in queste settimane”.

Il testo, già approvato una prima volta il 25 giugno scorso, ora dovrà ripassare ad Senato per una terza lettura ma – come dice Pistelli – il più è fatto. Ci troveremo in tal modo un nuovo Ministero degli Affari Esteri con maggiori risorse e affiancato da una serie di strutture e organi con specifici obiettivi, che muterà anche il nome in Maeci, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Molte sono le novità stabilite dalla riforma, dalla programmazione triennale sulle politiche di cooperazione internazionale alla possibilità di utilizzare la Cassa Depositi e Prestiti, per finanziare eventuali iniziative per le politiche approvate e sostenute dal Maeci, alla luce della volontà del governo di formalizzare ed intensificare i rapporti tra enti statali ed enti – pubblici e privati, profit e no profit – che operano anche a livello locale nell’ambito della solidarietà internazionale.

Anche le associazioni di migranti che cureranno e manterranno rapporti di cooperazione con i Paesi d’origine saranno considerati attori della cooperazione come destinatari ed attuatori di iniziative ministeriali condivise, oltre alle Onlus, alle associazioni di volontariato e di promozione sociale e agli enti locali.
La riforma prevede una serie di organi di tipo amministrativo con incarichi di coordinamento e gestione delle diverse fasi delle iniziative: l’organo più importante di grande peso sarà la nuova “Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo” (Aics): una sigla da tenere a mente perché il nuovo ente – con personalità giuridica, statuto e bilancio autonomi – avrà notevoli costi; ci sarà inoltre il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics) e il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo (Cncs), che sarà composto da soggetti pubblici e privati interessati. Il direttore dell’Agenzia potrà autonomamente disporre di un tetto di spesa massimo di 2 milioni di euro. Per iniziative che richiedano cifre superiori a questa dovrà essere invece interpellato un altro organo, il Comitato congiunto per la Cooperazione allo sviluppo

Apprezzamenti mirabolanti hanno accolto la riforma, sintetizzabili nell’articolo di Nino Sergi, presidente dell’organizzazione umanitaria InterSos, che parla di buona legge “adeguata ai tempi e aperta al futuro, coinvolgente, rispettosa dei Paesi e delle comunità partner con cui ci si relaziona nella comune finalità di sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze, intervenire per lo sviluppo sostenibile, in una visione di reciproco impegno e anche di mutuo beneficio, per l’affermazione dei diritti umani e della dignità di ogni persona, la convivenza, la prevenzione dei conflitti, la pace. Il Senato e la Camera hanno lavorato bene”.

E’ anche vero che rimangono alcune perplessità. Resta da chiederci se il rischio carrozzone si farà pesante per il carico dei costi; se l’apertura ai profit andrà a vantaggio delle imprese italiane in difficoltà o se i fondi per la cooperazione andranno a finanziare la delocalizzazione produttiva delle imprese italiane nei contesti economicamente più attraenti. All’imprenditore scaltro basterà mettersi d’accordo con una società straniera, aprire uno stabilimento all’estero, assumere operai a prezzi locali per ottenere il credito agevolato e approfittare di un incentivo di Stato alla fuga, mascherato da aiuto allo sviluppo. Infine nei progetti di cooperazione internazionale il Maeci priviligerà le “multinazionali della solidarietà”, che diventate grandi burocrazie hanno soffocato la loro missione iniziale, oppure daranno spazio anche alle piccole associazioni no profit più efficienti nel trovare soluzioni efficaci e meno appesantite dalla necessità di sostenere l’apparato burocratico?

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