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La guerra di Bolsonaro contro i Nativi

Habrá lucha”, ci sarà lotta è il grido delle comunità indigene brasiliane contro gli attacchi del nuovo governo, contro la “deregulation ambientale”, contro l’autostrada che taglierà in due l’Amazzonia, contro il ministro dell’Agricoltura, la “musa del veleno”, contro la nuova pratica coloniale di Bolsonaro, il Trump tropicale.

Bolsonaro-NativiLa “deregulation ambientale” di Bolsonaro

La grande agenda economica di marcato stampo liberista prevede la riduzione dei vincoli ambientali agli investimenti, la riapertura dell’Amazzonia alle attività economiche, nuove centrali idroelettriche, drastico abbattimento di pene e multe connesse al disboscamento illegale. Il patrimonio naturale dell’Amazzonia rischia di subire un attacco ancora più drastico di quello subito dall’uscente amministrazione Temer, che nell’agosto del 2017 aveva tentato l’abolizione della riserva amazzonica di Renca, istituita nel 1984 tra gli stati federali di Amapa e Para su un’area di 46mila chilometri quadrati, superiori alle dimensioni della Danimarca, definito “il più grande attacco all’Amazzonia degli ultimi 50 anni, finalizzato ad aprire l’area all’estrazione dei ricchi giacimenti minerari del sottosuolo (oro, ferro, rame, tantalo, nichel e manganese). Ora Bolsonaro rilancia una sfida ancora più grave alle politiche di tutela dell’ambiente, che potrebbe causare gravi attacchi ai diritti dei popoli indigeni.

Il nuovo ministro dell’Agricoltura, la “musa del veleno” e l’agrobusiness

Si chiama Tereza Cristina il ministro dell’Agricoltura, definita la “musa del veleno” perchè difende l’uso degli agrotossici, è stata il capo del settore bancario rurale nella precedente Camera bassa. Cristina ha lavorato attivamente contro i programmi di sviluppo sostenibile delle popolazioni indigene e delle comunità tradizionali brasiliane. In collaborazione con altri deputati proprietari terrieri, il  ministro ha suggerito che i leader indigeni e i professionisti che lavorano per i diritti dei popoli tradizionali siano indagati in modo giudiziario. I principali finanziatori delle campagne elettorali di Teresa sono imprenditori legati all’agrobusiness, molti dei quali coinvolti in omicidi di indigeni nella regione del Mato Grosso do Sul.

L’agrobusiness brasiliano rappresenta un potere economico gigantesco equivalente al 23 per cento del Pil e dà lavoro a 20 milioni di persone. Bolsonaro ha potuto incassare, per le sue dichiarazioni sull’ambiente e sugli indigeni, il sostegno di uno dei gruppi di pressione più potente del Brasile, l’agrobusiness personificato dai fazendeiros, ovvero i grandi proprietari terrieri, agricoltori e allevatori. Costoro vanno a Brasilia a difendere i loro interessi organizzati sul Fronte parlamentare ruralista, il gruppo più organizzato del Congresso.

Comunità indigene organizzate e autonome

Dopo oltre 500 anni di invasione e una politica sistematica di sterminio, 305 gruppi etnici occupano ancora poco più del 12 per cento del territorio brasiliano. La maggior parte, quasi il 90 per cento, si trova nell’Amazzonia, una lussureggiante area boschiva in cui le comunità possono ancora vivere secondo la loro cultura e, di passaggio, assicurare la conservazione di un bioma fondamentale non solo per il Brasile, ma per l’intero pianeta. Basta guardare le applicazioni “Google Maps” e “Google Earth” e immediatamente si percepisce che dove c’è una comunità indigena si ha protezione e la foresta vibra. Dove c’è un’industria o una fattoria, la vita muore.

Ma la ricchezza della sua diversità, i minerali, la voracità nella ricerca di energia (con la costruzione di centrali idroelettriche), e la promessa di un’autostrada hanno reso gli occhi avidi verso l’area. E così, il latifondo, che già occupa più del 60 per cento del territorio con l’agroindustria, vuole coprire anche il 12 per cento che è sotto il controllo delle popolazioni indigene. L’intenzione del governo, considerando la volontà degli agricoltori, è quella di prendere terra indigena e “fare i cittadini”, che in pratica significa non solo rimuovere il loro modo di essere nel mondo, ma la loro disintegrazione come essere umano che ha una propria cultura, visceralmente differenziata dalla cultura ebraico/cristiana occidentale. Seguendo i desideri del capitale ultraliberale, gli indigeni devono essere incorporati come forza lavoro nelle città e nei campi, senza il diritto alla propria terra. È un altro episodio di accumulazione primitiva che servirà solo a distruggere il modo di vivere dei popoli originali.

Bolsonaro li considera “animali negli zoo”

La scorsa settimana, ad una dichiarazione presidenziale secondo cui gli indiani che vivono in Amazzonia sono come gli animali negli zoo, una lettera aperta dei popoli Aruak e Apurinã chiarisce la loro posizione per quanto riguarda la proposta di rendere loro “cittadini”: “Non siamo negli zoo, signor Presidente, siamo nelle nostre terre, nelle nostre case, come il Signore stesso e come ogni società umana che si trovi nelle loro case, città, quartieri. Siamo persone, esseri umani, abbiamo sangue come te, siamo nati, siamo cresciuti, abbiamo procreato e poi siamo morti nella nostra terra sacra, come qualsiasi essere umano vivente su questa terra. Le nostre terre, già provate dal punto di vista tecnico e scientifico, sono garanzie di protezione ambientale, preservate e gestite dalle popolazioni indigene, che promuovono le piogge continue con cui beneficiano le piantagioni e l’agroindustria del sud e del sud-est e lo sappiamo”.

Ancora questa settimana, una rappresentazione dell’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Apib), si è recata all’Ufficio del Procuratore generale chiedendo chiarimenti sulla Misura Provvisoria firmata dal presidente Jair Bolsonaro che passa al portafoglio dell’Agricoltura poteri di identificazione, delimitazione e registrazione di terreni tradizionalmente occupati da popolazioni indigene. Secondo l’Apib, questa misura è in contrasto con l’articolo 6 della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro e con una serie di altre leggi nazionali. Ha presentato inoltre altre richieste di tutela delle comunità indigene, nel rispetto  della Costituzione federale del 1988.

Oltre alle azioni nei campi della comunicazione e della giustizia, le entità autonome dell’organizzazione indigena stanno già preparando azioni pubbliche contro l’attacco alla loro cultura e alle loro terre. Secondo le comunità, non è possibile ritirarsi dagli importanti risultati raggiunti grazie alla Costituzione del 1988. Il Brasile non può avere di nuovo la pratica coloniale del ventennio del regime militare, durato dal 1964 al 1985, nel corso del quale contro i primi abitanti del Brasile fu condotta una guerra spietata a base di torture, attacchi chimici, arresti di massa, stupri ed esecuzioni extragiudiziali, certificate dal famigerato Rapporto Figueiredo,(https://www.theguardian.com/world/2013/may/29/brazil-figueiredo-genocide-report,).

di Cristina Amoroso

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