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L’ipocrisia dell’Unione Europea in Medio Oriente

Medio Oriente – Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito ad un’importante evoluzione: l’Unione Europea è diventata un attore internazionale che vuole essere preso sul serio.

Oggi, c’è una maggior volontà e consapevolezza da parte dell’Europa ad impegnarsi nei conflitti internazionali qualora i suoi interessi ne siano coinvolti. Sul proprio sito web, la Commissione Europea afferma che una pace duratura in Medio Oriente è uno dei principali obiettivi dell’Unione Europea. Ma tra il dire e il fare… Fino ad ora l’Ue si è sempre schierata dalla parte degli Stati Uniti. Tutto ciò implica che non è stata fatta nessuna pressione su quella che è la parte più forte nel conflitto. Israele è il padrone della situazione, da un punto di vista militare ha il coltello dalla parte del manico ed è supportato dai soggetti potenti della comunità internazionale. Per ottenere un trattato di pace, la bilancia del potere deve diventare più equa. L’unico modo per farlo è contenere le richieste di Israele. Questo non vuol dire essere anti-Israele, ma solamente che Israele dovrebbe essere trattato come ogni altra nazione della comunità internazionale in cui l’occupazione e la violazione dei Diritti Umani sono illegali.

Oltre alla Palestina, per quanto riguarda Paesi come la Siria, l’Iraq e l’Iran (per citarne solo alcuni), se fosse percepita la volontà dell’Ue a trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese, si potrebbe ottenere una maggiore benevolenza politica. Anche se probabilmente l’Ue ha un ruolo da giocare nel processo di pace tra Israele e Palestina, ci si può domandare quanto influente sia alla fine. Per esempio l’Ue è, insieme a Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite, un membro del Quartetto per il Medio Oriente. Fino a che punto l’Unione è capace di giocare un ruolo più rilevante di fianco ad attori così importanti? In realtà, l’Ue non sta cercando di fare nessun investimento politico, serio ed indipendente, in Palestina. Ciò è apparso ancora più chiaro quando ha seguito gli Stati Uniti nel boicottaggio del governo di Hamas.

L’Ue avrebbe potuto assumere una linea più morbida, ma non l’ha fatto. Il fatto che l’Ue sia il più grande partner commerciale di Israele, le dà ancora più potere. In linea teorica, l’“Accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele” (accordo che regola il commercio tra questi due soggetti) dovrebbe essere subito cancellato perché afferma inequivocabilmente che l’accordo si basa sul rispetto dei diritti umani. Poiché Israele è in palese violazione di tali diritti, l’Unione Europea potrebbe sospendere l’accordo fintanto che questo punto non viene rispettato. Il fatto che l’Ue non abbia giocato questa carta mostra che essa, sebbene ne abbia tutte le capacità, non ha però la volontà di fare alcuna pressione su Israele. Includere l’economia palestinese nella cooperazione con l’Ue sarebbe una politica vana. Israele controlla tutti i confini palestinesi, incassa le tasse di import-export per conto dell’Autorità Palestinese, controlla lo spazio aereo e gli sbocchi sul mare. In altre parole, nella pratica il commercio e la cooperazione congiunti di Ue-Israele-Palestina sono rafforzati dal commercio e dalla cooperazione tra Ue e Israele.

L’Unione Europea è il più grande erogatore di aiuti dell’Autorità Palestinese. Quando Hamas ha vinto le elezioni, l’Ue ha mantenuto i finanziamenti per non perdere la propria influenza sull’Autorità Palestinese, chiedendo però ad Hamas di condannare la violenza come strumento politico. Hamas ha vinto le elezioni con mezzi democratici e leali, e come tale sarebbe dovuto essere trattato come parte dell’Autorità Palestinese, non come se fosse separato da essa. La falsa dicotomia creata dall’Ue ha aiutato a seminare il germe della guerra civile in Palestina. In secondo luogo, le richieste dell’Ue andavano più in profondità rispetto a un mero “cessate la violenza”. La strategia europea avrebbe potuto essere più efficace se avesse alleggerito la pressione su Hamas quando questo ha mosso i primi passi verso la conciliazione. Ciò non venne fatto e Hamas non si sentì più in dovere di fare concessioni.

Risultato finale: la politica dell’Ue fu un fallimento su grande scala e spinse Hamas di nuovo al suo ruolo di forza anti-sistema. Se l’Ue vuole risolvere il conflitto deve voler premere su Israele e divergere dagli Stati Uniti per quanto riguarda il trattamento di Hamas. Essa deve realizzare che questo conflitto è basato su uno squilibrio di potere. Essendo un “costruttore di ponti” cieco, l’Ue sta di fatto sostenendo Israele. Nel lungo termine, questo non è il modo di risolvere il conflitto, ma è piuttosto la ricetta per rendere ancora più difficile risolverlo dal momento che Israele può continuare ad ottenere ciò che vuole. E’ noto che l’Unione Europea è manifestamente divisa sul voto che potrebbe conferire alla Palestina lo status di “Stato membro”. Tra gli Stati che voteranno contro la risoluzione palestinese ci sono Germania, Italia, Paesi Bassi e Repubblica Ceca, mentre tra quelli che hanno annunciato di esprimersi a favore troviamo il Belgio, la Svezia, la Norvegia e la Spagna. L’Inghilterra e la Francia non si pronunciano. La Germania, per ragioni sia economiche che storiche, mantiene una politica favorevole allo Stato israeliano. La Spagna invece continua a tendere la mano ai paesi arabi.

E’ ragionevole infine pensare che le posizioni della Norvegia, della Svezia e della Finlandia siano piuttosto di ordine etico e in linea con la volontà dei cittadini, manifestamente filo-palestinese. La posizione dell’Europa sul conflitto israelo-palestinese è il risultato della Dichiarazione di Venezia risalente a 30 anni fa. Nascosta dietro formule neutrali sul diritto d’Israele a difendere le proprie frontiere e su quello della Palestina a rivendicare uno Stato, l’Europa sta soprattutto dimostrando una certa accondiscendenza nei confronti di Israele. Oggi la sua neutralità viene messa alla prova, tra la crescita degli estremismi anti-arabi e l’elezione di governi conservatori.

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