Cronaca

Braccianti regolari, in Puglia i più sfruttati

Si è parlato tanto di regolarizzazione, quella norma che avrebbe dovuto mettere al riparo dallo sfruttamento i braccianti che lavorano nei campi, in modo da far fuoriuscire dall’illegalità i lavoratori e dargli i diritti. Purtroppo, siamo dinnanzi all’ennesima legge raffazzonata, fatta male ma pubblicizzata con tanto di fanfare e annunci roboanti ma risultata un flop clamoroso.

Sono tre gli imprenditori arrestati negli scorsi giorni a Spinazzola, versante occidentale delle Murge pugliesi, accusati di aver impiegato manodopera a 3.80 euro l’ora. A far riflettere sono i 22mila lavoratori stranieri che hanno fatto domanda di emersione, un numero che va ad incocciare con i numeri che si era immaginato il governo che ne stimava 200mila.

I tre imprenditori proprietari dell’impresa sono stati arrestati dai carabinieri con l’accusa di sfruttamento della manodopera e gli è stata commutata anche un’ammenda di 73mila euro. Il via vai dei braccianti sin dalle prime luci dell’alba aveva insospettito i militari dell’arma che con l’ausilio dei droni hanno registrato tutto quello che accadeva all’interno dell’azienda. Al momento dell’irruzione erano presenti una decina di lavoratori italiani e africani, ma a lasciare sgomenti i carabinieri sono state le condizioni degli alloggi e le condizioni lavorative alla quale erano sottoposti i braccianti.

Braccianti ridotti in schiavitù

Nove ore al giorno sotto il sole cocente di agosto oppure all’interno delle serre con una paga di 3.80 euro l’ora contro i 9.60 previsti dal contratto nazionale. La “furbizia” degli imprenditori stava anche nell’alterazione del Lul, il vecchio libro paga che veniva abilmente manipolato per sopperire alla differenza tra l’orario lavorato ed il salario distribuito. Si registravano 15 giorni lavorativi invece delle 30 lavorate ogni mese.

Le condizioni degli alloggi che si sono ritrovati dinnanzi i carabinieri sono risultate essere indecenti. Un locale di venti metri quadrati, un cubo di cemento senza riparo dal sole, senza elettricità, senza acqua e senza servizi igienici. In questo cubicolo trovavano “ristoro” i lavoratori dell’azienda quando avevano modo di riposare visto che l’attività lavorativa veniva monitorata da un sistema di videosorveglianza a circuito chiuso.

Una legge flop quella voluta da Italia Viva e dalla ministra Teresa Bellanova che non ha risolto nulla, almeno nelle campagne, visto che si continua a lavorare in nero. Nelle intenzioni della ministra la regolarizzazione avrebbe dovuto portare alla luce lo sfruttamento che si perpetua nelle campagne del sud Italia. Anche se la scadenza delle domande sarà il 15 agosto i numeri parlano di clamoroso flop.

Ultimi dati ufficiali sono aggiornati al 31 luglio

Le domande di regolarizzazione (nei settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona) ricevute dal Viminale sono state 159.991, di cui 11.397 in corso di lavorazione. L’87% è per colf e badanti (128.719), il 75% di quelle in lavorazione (8.598) riguarda gli stessi due settori. Il lavoro subordinato, invece, copre solo il 13% delle domande già perfezionate (19.875) e il 25% di quelle in lavorazione (2.799).

La Lombardia ha il record di colf e badanti (36.283), la Campania per il settore agricolo (5.134). Rispetto al Paese di provenienza del lavoratore, ai primi posti risultano l’Ucraina, il Bangladesh e il Marocco per colf e badanti. L’Albania, l’India e il Marocco per il settore agricolo e l’allevamento. Il perché di questi bassi numeri è presto detto: molti imprenditori nascondono il reddito dei braccianti al fisco ergo non possono chiedere la regolarizzazione.

di Sebastiano Lo Monaco

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