Bassora, ricca e sfruttata terra di Resistenza
Le manifestazioni di protesta delle ultime settimane hanno riacceso i riflettori sulla città di Bassora, nel sud dell’Iraq. C’è un malcontento diffuso che sfocia in sempre più frequenti proteste e manifestazioni; il motivo è la richiesta che il Governatorato divenga una Regione Autonoma come quella curda. L’idea si sta diffondendo rapidamente fra vaste fasce della popolazione, e prende piede fra molti funzionari governativi ed esponenti politici locali, che preferiscono per adesso celarla in pubblico per evitare le ritorsioni del Governo e dei partiti di Baghdad.
L’aspirazione di Bassora all’autonomia è antica, risale agli anni ’20 del secolo scorso, al tempo della dominazione coloniale inglese, ma è sempre stata frustrata; adesso, con una costituzione espressamente federale, voluta per realizzare l’entità curda al Nord, la popolazione si chiede perché le debba essere negato ciò che è stato permesso ai curdi, da anni disinteressati alle sorti dell’Iraq, in cerca solo dei propri interessi.
E di motivi di rimostranza Bassora ne ha tanti: è la seconda provincia irachena per popolazione ed ha il 70% delle enormi riserve petrolifere del Paese (143 Mld di barili); ha l’unico sbocco a mare dello Stato, attraverso cui avviene l’esportazione della massima parte del greggio prodotto (1,9 ml di barili al giorno), che tiene in piedi tutta la Nazione. Inoltre, è da lì che provengono gran parte delle milizie sciite che hanno arginato l’avanzata dell’Isis e si stanno battendo contro i terroristi pagando un prezzo di sangue, come non è stato capace di fare l’Esercito di Baghdad.
Malgrado ciò, i Governi centrali che si sono succeduti si sono sistematicamente dimenticati di quest’area: è stata percorsa più volte dalla guerra con le sue distruzioni, durante il lungo conflitto con l’Iran e poi in occasione della prima e della seconda Guerra del Golfo, e poco o nulla è stato fatto per la ricostruzione. Attorno ai centri abitati sorgono sempre più numerosi insediamenti di gente bisognosa di tutto; le strade dissestate sono ricoperte da cumuli d’immondizia e dagli scoli delle fogne a cielo aperto; in diversi quartieri mancano persino l’acqua e l’elettricità.
In simili condizioni, che sono il velenoso retaggio della lunga occupazione americana e del corrotto governo di Al-Maliki, c’è da stupirsi che la gente abbia preso a protestare solo adesso. Non vuole abbandonare l’Iraq o disinteressarsi di esso (come i curdi), e il sangue versato al Nord, per proteggere Baghdad dai tagliagole dell’Isis, lo dimostra; vuole che una parte della ricchezza che si produce dalla sua terra (e che serve a mantenere tutto lo Stato, compresa la corruzione che c’è ancora) rimanga sul territorio, per garantire – finalmente – una vita migliore alla sua popolazione.
La via per la creazione di una regione autonoma, per come delineata dalla costituzione vigente, non è difficile, basta un referendum chiesto da un decimo degli elettori registrati; rimangono da superare le resistenze delle Istituzioni e dei partiti di Baghdad, troppo abituati a sfruttare la gallina dalle uova d’oro. Tuttavia, le vicende della guerra ai terroristi stanno mutando rapidamente le cose, da un canto conferendo la giusta importanza a chi si batte per il Paese e suscitando l’unione (che prima non c’era) contro il nemico comune; dall’altro, spazzando via molte delle cricche corrotte che hanno spadroneggiato a lungo sotto l’egida di Washington, ingrassando alle spalle della Nazione.
Il greggio e il gas, di cui è ricca, promettono prosperità per Bassora: malgrado la situazione ancora difficile per l’Iraq (ma a Bassora è stata sempre tranquilla), già fioccano i progetti di coltivazione dei giacimenti e d’ammodernamento delle infrastrutture da troppo tempo trascurate. Con la Regione Autonoma, non solo potrà ricevere una quota maggiore sui profitti, ma avrà voce in capitolo sull’utilizzo delle somme e sugli investimenti da destinare alle amministrazioni locali, adesso trascurate.
Sarebbe la fine di un’ingiusta emarginazione che, dai tempi di Saddam e poi durante l’occupazione Usa, opprime un territorio che ha dato e dà tanto all’Iraq, ricevendo in cambio ingratitudine e vane promesse.
di Salvo Ardizzone