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Arabia Saudita, un regime corrotto che si avvia finalmente a crollare sotto il peso dei suoi crimini

di Salvo Ardizzone

L’Arabia Saudita sta liquidando i suoi investimenti all’estero per sostenere lo spaventoso deficit di bilancio. Secondo Insight Discovery, la società di servizi che fornisce le informazioni finanziarie a Bloomberg, solo negli ultimi sei mesi è stata costretta a far rientrare da 50 a 70 Mld di dollari.

La scelta di innescare una guerra dei prezzi del petrolio, che dall’estate del 2014 ne ha fatto crollare le quotazioni da 110 $/barile ai circa 50 attuali, si sta rivelando suicida per un’economia che dipende fra l’80 e il 90% dalla rendita petrolifera.

Alla drastica contrazione delle entrate, si aggiungono le spese folli di una famiglia reale sterminata (che considera le casse dello Stato cosa propria) e i costi crescenti della sciagurata aggressione allo Yemen, che da sei mesi inghiotte un fiume di petrodollari e si sta rivelando sempre più catastrofica.

Le riserve valutarie di Riyadh, che nell’agosto del 2014 avevano toccato la cifra record di 747 Mld, si stanno contraendo rapidamente al ritmo attuale di almeno 12 Mld al mese. Secondo Bloomberg, la tendenza alla loro veloce riduzione è una nuova realtà strutturale che non può stupire, date le caratteristiche di quell’economia. E il Fondo Monetario rincara la dose aggiungendo che, con una spesa di oltre 270 Mld, quest’anno l’Arabia Saudita dovrebbe raggiungere un deficit di 140 Mld, equivalente a circa il 20% del Pil. Come dire che s’avvia rapidamente alla bancarotta.

Coscienti di questa deriva disastrosa, le autorità finanziarie di Riyadh hanno iniziato a finanziarsi sul mercato ed entro fine anno prevedono d’indebitarsi per 26 Mld, ma il conto rischia di essere salato perché già nel febbraio scorso Standard and Poor ha riveduto l’outlook del credito da stabile a negativo per le condizioni dell’economia, e a breve potrebbe farlo ancora.

Il fatto è che, malgrado le entrate siano state drasticamente ridotte dal calo del greggio voluto da Riyadh per colpire i propri avversari (Teheran e Mosca), le finanze del Regno continuano ad essere prosciugate da un fiume di sovvenzioni e da un sistema clientelare estesissimo, con cui i Saud tentano di assicurarsi il consenso popolare.

A questo si aggiungono le dissennate spese in armamenti che mai le Forze Armate saudite saranno in grado di utilizzare (il Regno è al 5° posto al mondo per spese militari), e per quelli acquistati in conto dei cosiddetti alleati (vedi l’Egitto) e per “comprare i favori di Stati pronti a vendersi per lucrose commesse (vedi Francia e a seguire Inghilterra e così via).

Infine si sommano i miliardi spesi a piene mani per sovvenzionare le guerre per procura in Siria, in Iraq, in mezzo mondo e, da ultimo, in Yemen, che la follia dei Saud ha suscitato per inseguire i propri disegni di potere.

Il peso di tutte queste iniziative, mantenute mentre scatenava una guerra del greggio, sta schiacciando la finanza saudita; ma Riyadh è costretta comunque a rilanciare, spendendo sempre di più nel tentativo di comprare quel mantenimento dei propri privilegi e quel potere che gli sta irrimediabilmente sfuggendo di mano. Dopo immani lutti e devastazioni i nodi stanno venendo velocemente al pettine, decretando il totale fallimento delle strategie saudite.

È un impero corrotto, fondato sul sangue, sulla violenza e l’arroganza che s’avvia finalmente a crollare sotto il peso d’incalcolabili crimini ed errori.

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