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Anche per l’Africa verrà il suo giorno

C’è un solo peccato. Uno solo. Il furto. Ogni altro peccato può essere ricondotto al furto. […] Se uccidi un uomo gli rubi la vita. Rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi i suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli,quello alla lealtà. (Khaled Hosseini)

di Cristina Amoroso

L’Africa derubata di figli divenuti schiavi, di terre e libertà, aveva finalmente proclamato nella Conferenza afroasiatica di Bandung del 1955, l’eguaglianza tra tutte le nazioni e la condanna di ogni  forma di oppressione coloniale da parte dei paesi occidentali, ma aveva aperto le porte alla Cina che cercava alleati del Terzo mondo che le consentissero di interrompere il proprio isolamento politico. Ebbe così  inizio da parte del governo cinese il sostegno dei movimenti rivoluzionari di liberazione nazionale e dei nascenti governi socialisti.

Dalle alleanze politiche è stato facile passare agli accordi economici, ai Forum per la cooperazione, e grazie alla politica cinese di non interferenza, al soft power orientale, l’Africa ha preferito il Beijing consensus al Washington consensus,  fondato sulle priorità imposte da Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e  investitori occidentali, in parte anche perché la Repubblica Popolare era vista come un paese in via di sviluppo. In tal modo, mentre Pechino ha continuato a concedere volentieri crediti a condizioni agevolate, superando le elargizioni della Banca Mondiale ai Paesi africani, a costruire infrastrutture sociali, stanziare borse di studio in Cina a migliaia di studenti africani permettendo loro di studiare gratuitamente nelle università cinesi, in cambio l’Africa ha concesso alle società cinesi l’accesso alle ricchezze del sottosuolo e appalti per la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali.

L’ Africa è diventata un affare grosso per la Cina se il nuovo Presidente cinese Xi Jinping, eletto il 14 marzo, a soli undici giorni dalla sua elezione, il 25 marzo ha iniziato subito le visite ufficiali in Africa, seguito a ruota dal Giappone di Abe che, non volendo essere tagliato fuori dall’affare, ha avviato – ai primi di giugno – la sua campagna d’Africa: investimenti e aiuti da 32 miliardi in 5 anni per contrastare l’influenza della Cina. Una maratona di incontri bilaterali con una quarantina di capi di Stato e di governo africani, arrivati in Giappone per la Tokyo International Conference on African Development (Ticad): il premier Shinzo Abe si è speso in prima persona per lanciare la sua campagna d’Africa, con un doppio obiettivo economico e politico.

Alla “Yokohama Declaration” e al “Yokohama Action Plan” di  Shinzo Abe non poteva non seguire il viaggio di Obama in Africa (dopo quattro anni dal suo primo e unico) per rincorrere la Cina, nel tentativo di recuperare il terreno perduto in una nuova corsa all’Africa e alle sue risorse.

Anche la leadership indiana ha intensificato la sua azione politica nel continente africano, soprattutto in campo economico, divenendo il quarto partner commerciale dell’Africa dopo Europa, Cina e Stati Uniti. Non è assente neppure l’Italia con l’Eni che  ha  messo sul piatto 4 miliardi di euro di investimenti, nel quadriennio 2012-2015, sull’uso del gas associato alla produzione di idrocarburi in diversi progetti di sviluppo in Africa e non solo per distribuire localmente la maggior parte del metano ottenuto o a inviarlo alle centrali elettriche.

La corsa all’accaparramento delle risorse ha portato con sé l’arricchimento dei paesi “cooperatori” e conflitti sanguinosi per l’Africa,  divenuta oggetto principale dell’attenzione degli esportatori di armi in tutto il mondo. Insieme alla crescita economica, i paesi africani stanno rafforzando la loro infrastruttura militare. L’Uganda, la Tanzania, la Guinea Equatoriale, il Kenya e la Nigeria… acquistano sempre più armi, aerei caccia, elicotteri da combattimento, mezzi armati di terra: un giro d’affari gigantesco per Usa, Russia, Cina e anche Italia.

Ma non basta.

Una nuova corsa all’oro è iniziata nel XXI secolo. E’ la land grapping, l’accaparramento incontrollato di terre, dal 2001 sono 227 milioni gli ettari di terra venduti, affittati o concessi in uso in tutto il mondo. Il rapporto diffuso da Oxfam Italia, stima le dimensioni mondiali del fenomeno land grabbing, effettuato in particolare da investitori internazionali con accordi su larga scala. L’espandersi del fenomeno, avverte Oxfam, mette in pericolo le comunità più povere, che perdono case e mezzi di sostentamento – a volte a seguito di violenze – senza essere consultate, risarcite e senza avere mezzi per fare ricorso.

Il numero senza precedenti delle compravendite e la crescente competizione per la terra sta avvenendo sulla pelle dei più poveri del mondo. In questa nuova corsa all’oro, gli investitori ignorano i diritti delle comunità locali le cui economie si fondano sulla terra. “Lo scandalo è che l’80% delle terre accaparrate rimane inutilizzato. Questa nuova corsa all’oro si intensificherà nel futuro, a causa della crescente domanda di cibo, dei cambiamenti climatici, della scarsità d’acqua e dell’incremento della produzione di biocarburanti che sottrae migliaia di ettari alla produzione di cibo”. Il rapporto fa chiarezza su alcuni dei “miti” associati all’investimento sui terreni del Sud del Mondo e descrive inoltre gli effetti devastanti che il land grabbing ha in Africa. In Uganda, per esempio, almeno 22.500 persone hanno perso casa e terra. Nel caso è coinvolta la New Forest Company (Nfc), un’azienda britannica specializzata nella produzione di legname. Molte persone sono state allontanate e non hanno più mezzi di sostentamento, né possibilità di mandare i figli a scuola.

Quanto sangue dovrà ancora scorrere prima che l’Africa riesca a mettere un freno a tutti i furti che ha dovuto subire in nome della cooperazione e dello sviluppo economico-sociale?

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