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Greenpeace Netherlands svela testi segreti sul Ttip

di Salvo Ardizzone

Greenpeace Netherlands ha diffuso alcuni documenti riservati riguardanti i negoziati sul Ttip fra Usa e Ue, di cui si è da poco concluso il 12° ciclo di colloqui; Jorgo Riss, direttore dell’organizzazione ecologista per l’Unione Europea, ha dichiarato che quelle carte consentono di comprendere l’enormità delle pretese americane. Ciò che vi è scritto non fa che documentare quanto si sospettava da tempo: gli Usa vogliono che la Ue abbassi o aggiri le sue tutele sull’ambiente, sulla salute dei consumatori, sul lavoro e sulla finanza.

Dai documenti, la cui autenticità è stata già verificata dai media tedeschi fra cui la Suddeutsche Zeitung, emerge l’abissale differenza d’impostazione fra le parti: Washington pretenderebbe una radicale modifica delle leggi e dei regolamenti europei negli ambiti più disparati: dall’ambiente al lavoro, dalla proprietà intellettuale ai servizi finanziari, dall’agricoltura alla tutela dei consumatori, alle norme sugli Ogm e così via, che impediscono o frenano ancora l’applicazione del liberismo più spinto.

Qualora accettato, il Ttip avrebbe conseguenze catastrofiche sull’insieme delle norme che faticosamente sono state costruite nel tempo a tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro e degli interessi della gente; in poche parole, il commercio, che è la motivazione ufficiale dell’accordo, in realtà sarebbe solo una parte, e la più piccola, di un trattato destinato a riscrivere in chiave iperliberista la legislazione europea, cambiando definitivamente e in maniera irreversibile il Continente europeo, rendendolo in tutto una dependance degli Usa e delle sue multinazionali.

Di qui la necessità di mantenere segrete le trattative per non provocare una sollevazione dell’opinione pubblica europea, per di più in un momento in cui essa è critica verso la globalizzazione selvaggia, di cui sconta gli effetti profondamente negativi in termini di crisi economica, occupazionale, finanziaria ed ambientale.

Di qui, da un canto le resistenze degli establishment di diversi Stati europei, preoccupati più che mai di essere travolti dai propri elettorati inferociti, e dall’altro le crescenti pressioni Usa, irritati per le esitazioni dell’Europa nell’accettare senza fiatare quelle che considera le proprie priorità economiche e strategiche.

Dietro la creazione della più grande area di libero scambio del pianeta, che ad oggi coinvolgerebbe circa 800 milioni di persone ed il 46% del Pil globale con conseguenze enormi sugli stili e la qualità della vita in Europa, c’è la volontà d’ingabbiare i Paesi della Ue (e l’economia tedesca, considerata da Washington la più pericolosa per i suoi interessi) impedendo che trovino vie di sviluppo alternative con la Russia e con altri Paesi emergenti come l’Iran.

È un modo per serrare il controllo economico su chi è già dominato politicamente, ed impedire che le naturali collaborazioni con chi è considerato nemico come Mosca e Teheran facciano sorgere aree di sviluppo da cui gli Usa sarebbero esclusi; in tal modo gli alleati/sudditi rimarrebbero tali e gli avversari isolati.

È la medesima strategia a cui tende il Tpp con i Paesi del Pacifico per contenere la Cina, tentando di mantenere così la supremazia globale a Stelle e Strisce alle condizioni ottimali per l’economia Usa. Strategia che comunque sta trovando crescenti opposizioni fra politici europei che non intendono compiere una simile mossa suicida, meno che mai adesso, insidiati come sono dalle crescenti proteste popolari.

Con tutta probabilità, la fuga di notizie è destinata a far arenare una trattativa che per andare avanti aveva bisogno della discrezione più assoluta mantenuta fin’ora e che adesso, posta sotto i riflettori, costringe un’imbarazzata delegazione europea ad assumere una posizione più intransigente malgrado le ire di Washington.

Lo Zio Sam ha fretta di concludere perché neanche l’opinione pubblica Usa è favorevole al trattato, e solo un Presidente a fine mandato come Obama può permettersi di spendersi per esso; un rinvio potrebbe rimettere tutto in discussione, esattamente quello che temono le multinazionali e la finanza a Stelle e Strisce.

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