CronacaCultura

Nadia Toffa: “Non giudicate e fatevi un giro negli ospedali”

“Sono malata, dammi un foglio grande”. Nadia Toffa è una bambina di quasi dieci anni, indossa un vestitino rosa e un copricapo di finta seta. Da quasi un anno è ospite di questo ramo d’ospedale. Un ramo che vorremmo vedere appassire e rinsecchire in fretta, ma che resiste sempre verde, come gli alberi che hanno da poco piantato nello spiazzo qui fuori. Lei guarda al di là del vetro e pensa al suo secondo Natale in ospedale. Il tempo corre in fretta, ovunque, ma se hai un cancro a nove anni, corre ancora di più.

Nadia ha chiesto un foglio per disegnare la sua malattia. Le resta poco da vivere, in un’età in cui gli altri nemmeno hanno ancora iniziato, e lei vuole lasciare la sua impronta con matite e pennarelli colorati. Poi c’è un’altra Nadia. Questa è una donna anziana che ha sconfitto più volte il cancro e più volte lui si è preso la rivincita sul suo corpo, lasciando tuttavia indenne la sua anima. Ora è collegata alla vita da decine di tubi e fili, che, a vederli da lontano, pare che siano le dita delle mani di Dio che hanno perforato la parete bianca per materializzarsi lì al suo fianco. Affronta quel tempo che le vien donato dando forma alla plastilina. Ha un impasto di pongo colorato e continua a creare piccole figure geometriche, talvolta animali goffi e rotondi, e quando li ha finiti li mette in fila sul suo comodino. Poi si addormenta serena.

Al risveglio si rivolge brusca alle sue creazioni di pongo e le stringe tutte con forza tra le mani, schiacciandole le une dentro alle altre, fino a ritornare alla sua personale pangea di plastilina colorata. Solo allora si calma e riprende la sua attività di ceramista terminale. Nadia ha poche settimane per riempirsi ancora gli occhi di questo mondo, tra non molto si accomiaterà dalla vita e scivolerà in un posto che da qui non si vede. Da qui nemmeno vediamo l’ultima Nadia. Ci piace immaginarcela con il suo sorriso di sempre, lo stesso che lei ci ha regalato centinaia di volte. Il sorriso di una giovane donna alla soglia dei quarant’anni che dopo la laurea in lettere si è ritagliata uno spazio nella trasmissione televisiva Le Iene Show.

Nadia Toffa ha il cancro. Anche lei porta avanti la sua personale battaglia e lo fa con il decoro, la dignità e l’eleganza che molte donne scoprono di avere quanto la vita gli dice male. La Iena non ci sta e continua a raccontarsi, invita al confronto e cerca di condividere con gli altri questo suo viaggio nelle profondità di un abisso buio e spettrale. La vita sembra più viva mentre si avvicina la fine o forse è l’aria che ancora corre a perdifiato dentro ai suoi polmoni che le dà la voglia di raccontare quanto sia importante gioire del proprio respiro. Come chi si trovi ad entrare in un labirinto stretto e buio, queste tre Nadia hanno tutte scelto una differente mollica di pane da disseminare durante il tragitto, un espediente per ritrovare la strada del ritorno.

Il filo di Arianna scelto da Nadia Toffa è stato un libro, “Fiorire d’inverno”. Ma la rete non ha gradito e ha deciso che quel suo desiderio di condividere un incubo dovesse essere punito, censurato, finanche deriso. E’ come una tela di ragno questa internet, non la rete che salva l’equilibrista caduto dal filo su cui cercava di esibirsi, piuttosto un gomitolo di parole scritte per ira condensata e invecchiata nell’animo lercio di una moltitudine senza volto, nel profondo di persone che non si saziano e mai si acquietano, se non dopo il disfacimento del nemico. Il nemico è chiunque provi a fare un ragionamento, a riempire di contenuti un non luogo simile a un siparietto, dove si animano le controfigure dell’umano.

Non l’uomo per come è, bensì il suo stuntman, il super uomo che cade sempre in piedi, che non si fa un graffio e che esce trionfante da ogni scontro. Allo stesso modo, annaffiando la rete di odio, in troppi travasano paure e frustrazioni in un contenitore senza confini, incuranti delle conseguenze. Son tutti certi che questa loro presenza eterea dentro al virtuale conceda loro la possibilità di essere quello che nella vita non hanno mai raggiunto.

Il libro di Nadia Toffa ancora non è uscito, verrà licenziato alle stampe il 9 Ottobre prossimo. Non staremo qui a ragionare sul contenuto di un testo che non conosciamo. Negli scorsi giorni abbiamo visto il botta e risposta di Nadia contro il resto del mondo. Qualcuno l’ha accusata di aver speculato sulla sua malattia per ragioni di danaro, altri di aver offeso i malati meno fortunati di lei, altri ancora per le sue parole cariche di voglia di farcela e di sberleffo gridato in faccia alla malattia. Non entriamo nemmeno in queste polemiche. Ma una cosa ci sentiamo di dirla. E se in un momento tanto difficile questa Nadia stesse elaborando la sua malattia a voce alta? Se la stesse tenendo per i capelli come una medusa, mostrandola come un disegno su un foglio grande o come una forma di plastilina modellata senza sapere che forma dare a quel buio?

Pensiamo a quest’altra Nadia, a questa donna anziana che lavora il pongo e ogni mattina è insoddisfatta e distrugge tutto per ricominciare di nuovo. Chi ci dice che Nadia Toffa non abbia anch’essa questa necessità? E se stesse solo cercando di dare forma al suo male, senza avere la pretesa di raccontarlo correttamente, semplicemente mettendo giù le parole che meglio le vengono per spiegare quello che tutti noi faremo fatica solo a immaginare? Noi non sappiamo che cosa abbia scritto Nadia Toffa, ma per come l’abbiamo vista combattere in questi mesi, per come ha raccontato la sua malattia, ci pare che queste ultime parole che scriviamo, sono in grado di dar voce al suo stato d’animo: cancro è una parola, non una condanna!

di Adelaide Conti

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