Morto Totò Riina e i suoi misteri
Totò Riina, il capo di Cosa Nostra è morto nella notte tra il 16 e il 17 Novembre nel carcere di Parma nella quale era rinchiuso a regime del 41 bis. Le condizioni già precarie si erano ulteriormente aggravate negli ultimi giorni, a niente sono serviti gli ultimi due interventi chirurgici alla quale era stato sottoposto. Alle 3:37 del mattino il boss ha cessato di vivere. E’ stata disposta l’autopsia, prassi solita per le morti che avvengono in ambito penitenziario, ha spiegato il procuratore di Parma, Antonio Rustico.
Totò Riina, arrestato 24 anni fa quasi all’indomani delle due più eclatanti stragi di mafia dove persero la vita Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. La morte dell’uomo di Corleone lascia dietro di se molti misteri e domande senza risposte; Riina da buon capo si è portato i misteri nella tomba. Mai pentito, ha seguito tutti i processi nella quale era parte in causa, alla domanda se avesse mai avuto a che fare con la mafia la sua risposta fu perentoria: “Non so cosa sia questa mafia”.
Dalle ultime dichiarazioni estrapolate dalle registrazioni durante l’ora d’aria, il Capo dei capi si vantava di “aver fatto fare la fine del tonno” a Giovanni Falcone; stessa sorte che avrebbe voluto per il Pm Nino Di Matteo che indaga sulla trattativa Stao-Mafia. Manie di grandezza, strategia mafiosa perseguita anche durante gli anni del 41 bis, Riina ha continuato ad avere il bastone del comando in mano, un ruolo di puparo e non di pupo, un uomo che ha svolto un ruolo cardine negli ultimi 40 di storia italiana. Questo è stato Totò Riina e questo il suo personaggio, spurio di ogni retorica.
Le dichiarazioni di Totò Riina a Lorusso non hanno lasciato mai dubbi sul suo ruolo: “Sono diventato una cosa immensa, sono diventato un re, se mi dicevano un giorno che dovevo arrivare a comandare l’Italia… sono stato importante”. Potrebbero sembrare le dichiarazioni di un megalomane, ma a leggere la storia della Repubblica Italiana degli ultimi 40-50 anni ci si rende conto di quanto veritiere siano le parole di un uomo sanguinario e spietato che da Corleone (uno dai piedi incritati, piedi sporchi di creta, così venivano definiti i mafiosi di Corleone) è sceso a Palermo, ha fatto una guerra di mafia che ha vinto sino ad arrivare a trattare con le massime istituzioni. Lo disse chiaramente Riina agli agenti della polizia penitenziaria, mentre stava per essere portato nella saletta delle videoconferenze per assistere al processo di Palermo, di cui non ha perso un’udienza: “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me”.
Da quelle dichiarazioni i Pubblici ministeri di Palermo disposero le intercettazioni durante i colloqui e durante l’ora d’aria; visto che Riina davanti ai giudici non apriva bocca, l’unico modo era quello di coglierlo durante le attività giornaliere, da lì si sono svelati altri misteri, interrogativi e la vera natura di Cosa Nostra. Ancora una volta Giovanni Falcone aveva visto giusto nella sua lungimiranza: Cosa Nostra non prende ordini da forze esterne. Qualcuno in Cosa Nostra ha avuto intense relazioni con uomini della società civile, della politica e delle istituzioni, relazioni ancora avvolte da tanti, troppi misteri. Questo era quanto confermava in continuazione Totò Riina.
Riina ribadiva quello che è ormai diventato il sentire comune sulla strage di via D’Amelio, ossia che l’agenda rossa del giudice Borsellino fu fatta sparire dai servizi segreti, cosa poi confermata anche da un video in cui si vede un agente con la borsa del giudice in mano, subito dopo l’esplosione. Come il più abile dei prestigiatori Riina ha confuso le acque delle sue dichiarazioni mischiando il vero ed il verosimile in una matassa indistricabile per i Pm e gli investigatori.
Riina si è sempre posto come il buon padre di famiglia ingiustamente accusato da uno Stato vessatore che prima ha fatto affari con lui e dopo, quando non serviva più, era stato posato (fatto arrestare nel gergo mafioso). Difeso come nella migliore tradizione siciliana dall’unica donna della sua vita rimasta a lui fedele anche nella latitanza, difeso a spada tratta dai figli, Giovanni e Giuseppe Salvatore, mentre alle donne veniva imposto il silenzio, il profilo basso come nelle arcaiche tradizioni siculo-mafiose.
Riina fu fatto arrestare in un’operazione scenografica e spettacolare nel pieno centro di Palermo, non in qualche paesino sperduto del nord Italia o dell’entro terra siculo, come avvenne per Provenzano, ma nel centro del suo feudo dando un segnale chiaro a chi doveva capire. C’è il mistero di pulcinella del covo non perquisito, con i carabinieri che chiedevano conferme, ma che vennero fatti smobilitare e nella notte i gregari del corleonese ripulirono tutto. I Carabinieri entrarono nel covo l’indomani, non trovando nulla, nemmeno la polvere.
E adesso rimangono i misteri, su tutti quello della trattativa Stato-Mafia di cui Riina è stato fautore verso uno Stato immobile e compromesso sino al midollo. Uno Stato che non ha saputo far di meglio che trattare con una belva assetata di sangue e potere, mandando al macello i suoi uomini migliori ed i suoi cittadini inermi per salvaguardare l’interesse dei politicanti implicati con Cosa Nostra, a dimostrazione che le belve non stanno da una parte sola.
Molti misteri non vedranno mai la luce e non avranno mai soluzione perché è la storia d’Italia che lo insegna: stragi, bombe, morti innocenti che rimarranno nelle lapidi che si trovano in ogni parte d’Italia dove la mafia di Riina ha colpito. Rimangono misteri insoluti come quello di Matteo Messina Denaro, rampollo di Riina e superlatitante dal 1993, ma questa è un’altra storia.
di Sebastiano Lo Monaco