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Egitto, sempre più vittima di un regime brutale

di Redazione

Sabato, il primo ministro egiziano Ibrahim Mahlab ha rassegnato le dimissioni al presidente Al-Sisi che le ha accettate; Mahlab rimarrà in carica fino alla formazione del nuovo Governo. Il Presidente egiziano ha incaricato Sherif Ismail, ministro del petrolio del precedente Esecutivo, di formare un Governo entro una settimana.

Nessuna informazione è trapelata sulle ragioni delle improvvise dimissioni, che vengono pochi giorni dopo l’arresto del ministro dell’Agricoltura Mahmoud Helal accusato di corruzione.

Il repentino cambio di Governo avviene mentre i dipendenti pubblici stanno organizzando massicce proteste a causa di una legge controversa sul servizio civile che, praticamente, li militarizza. Il Ministro degli Interni ha già dichiarato che reprimerà ogni manifestazione.

Dopo aver spezzato ogni opposizione, massacrando i dissidenti a centinaia, incarcerandoli a migliaia in condizioni disumane e condannandoli a pene durissime in processi di massa trasformati in farse grottesche, Al-Sisi e la casta militare hanno impresso all’Egitto una deriva oppressiva e autoritaria, tale da far largamente impallidire il regime di Mubarak e da rendere Governo e Parlamento semplici lacché, addetti a ratificare, nel più assoluto silenzio, le decisioni del Presidente e del suo gruppo di potere.

Il mese scorso, col raddoppio del Canale di Suez (pagato dai suoi sponsor del Golfo) e con la scoperta di un gigantesco giacimento di gas da parte dell’Eni, Al-Sisi ha consolidato enormemente la sua posizione, e con essa le sue mire. Resta il problema di un terrorismo in ascesa e di un Sinai ormai fuori controllo.

Per questo, da lunedì 7 ha lanciato una massiccia operazione, destinata ad andare avanti ad oltranza, contro basi e santuari della Velayat Sinai, l’organizzazione terroristica conosciuta fino all’anno scorso come Ansar al-Bayt Maqdis, adesso affiliata all’Isis, giunta a controllare vasta parte di quella penisola e responsabile di numerosi attentati che hanno falcidiato le forze di sicurezza egiziane.

La repressione dell’Esercito, condotta con la consueta brutalità sanguinosa, oltre a causare la morte di numerosi civili ed aggiungere distruzioni alle tante già arrecate a quelle disgraziate popolazioni, secondo i comunicati ufficiali, fino a sabato, avrebbe portato all’uccisione di almeno 296 terroristi, o presunti tali, nel corso di aspri scontri che hanno visti impegnati mezzi pesanti ed aviazione.

Malgrado la forza bruta applicata senza scrupolo alcuno, ad Al-Sisi sarà difficile riprendere il controllo del Sinai, sradicare le cellule dei terroristi e riacquistare un minimo di consenso delle popolazioni, da sempre emarginate, discriminate e sottoposte ad un regime durissimo. Ma per la casta militare poco importa; ciò che conta è recuperare una parvenza di ordine su una regione devastata, sottoposta ad una occupazione militare corrotta quanto spietata.

È questo il partner privilegiato delle “democrazie” occidentali.

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