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Rivolta nelle carceri israeliane, migliaia di palestinesi in sciopero della fame

di Manuela Comito

Sono 2100 i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane che hanno avviato uno sciopero della fame a tempo indeterminato in segno di protesta per la morte misteriosa di un compagno. Tutto ha avuto inizio martedì 9 settembre, in seguito al decesso in circostanze ancora oscure di Raed Abdul-Salam al-Jaabari, 35 anni, detenuto nel carcere di Eshel, nella città israeliana di Beersheva. Secondo la versione fornita dalle autorità carcerarie, il detenuto si sarebbe impiccato, ma alcune associazioni per i diritti dei prigionieri ritengono improbabile questa ipotesi e hanno chiesto un’indagine indipendente.

Issa Qaraqe, presidente della Prisoner Affairs Commission, ha riferito che il prigioniero al-Jabari è deceduto nel Soroka Medical Center di Israele martedì 9 settembre, che era stato precedentemente trasferito dal carcere di Ofer a quello di Eshel e che ha subito torture durante il trasferimento. Qaraqe ha, inoltre, dichiarato a Ma’an che i prigionieri gli hanno fatto pervenire una lettera nella quale spiegano i motivi di questa nuova protesta nei confronti della “politica aggressiva dell’occupante israeliano contro i prigionieri”.

Alle parole di Qaraqe hanno fatto seguito quelle di Qadura Fares, direttore del Prisoners’ Club con sede a Ramallah, che in una dichiarazione rilasciata ai media palestinesi ha espresso seri dubbi sulla versione dell’accaduto fornita da Israele e ha chiesto che siano organizzazioni internazionali a indagare su questa morte. Al-Jaabari, arrestato nel mese di luglio, è solo l’ultima delle vittime innocenti arrestate, ma sarebbe meglio dire “sequestrate” da Israele e sbattute in carcere senza alcun capo d’imputazione, senza la possibilità di consultare il proprio avvocato, senza poter ricevere visite.

Si chiama “detenzione amministrativa” e vige in tutti gli Stati, ma viene usata solo in casi eccezionali. Le autorità israeliane, invece, ritengono di poterla utilizzare a loro piacimento e impunemente. Secondo un dossier di ForumPalestina.org: “Israele usa correntemente la detenzione amministrativa in violazione dei parametri stretti della legge internazionale. Non a caso Israele dichiara di essere in permanente stato di emergenza, tale da giustificare l’uso dell’internamento, fin dalla sua nascita nel 1948. Inoltre, la detenzione amministrativa è spesso usata – in violazione diretta della legge internazionale – per punizioni criminali collettive, piuttosto che per prevenire minacce future. Spesso viene irrogata nei confronti di persone sospettate di reato dopo una indagine fallita o una mancata confessione. In pratica, la detenzione amministrativa israeliana viola molti altri standard internazionali. Ad esempio, detenuti provenienti dalla West Bank vengono deportati in Israele, violando direttamente la proibizione della Quarta Convenzione di Ginevra (Artt. 49 e 76). Inoltre, ai prigionieri vengono spesso negate le visite dei familiari previste dagli standard internazionali, e non vengono tenuti separati dagli altri detenuti, come prevedono le leggi internazionali. In più, nel caso di bambini detenuti, Israele non tiene mai conto dei loro interessi come la legge internazionale richiede”.

Secondo un rapporto di Amnesty International del 2012 intitolato “Affamati di giustizia: palestinesi detenuti senza processo da Israele”: “I palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa, così come molti altri prigionieri palestinesi, vengono sottoposti a maltrattamenti e torture nel corso degli interrogatori e a trattamenti crudeli e degradanti durante il periodo di carcere, talvolta a mo’ di punizione per aver intrapreso scioperi della fame o altre proteste. Inoltre, i palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa e le loro famiglie sono costretti a vivere nell’incertezza di non conoscere per quanto tempo resteranno privati della libertà e nell’ingiustizia di non sapere esattamente perché sono detenuti. Come altri prigionieri palestinesi, vanno incontro a divieti di visite familiari, trasferimenti forzati, espulsioni e periodi d’isolamento. “Da decenni sollecitiamo Israele a porre fine alla detenzione amministrativa e a rilasciare i detenuti, oppure sottoporli a un processo rispettoso degli standard internazionali per un reato internazionalmente riconosciuto” – ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International”.

Sono oltre 7mila i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane; di essi, 2mila sono stati imprigionati negli ultimi tre mesi.

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