Uranio impoverito: la Serbia non dimentica

La Serbia non dimentica i danni subiti nei 78 giorni di bombardamenti Nato nel 1999, con l’uso di munizioni all’uranio impoverito.
Era il 24 marzo del 1999 quando ebbe inizio l’aggressione Nato alla Repubblica Federale Jugoslava, durante la guerra del Kosovo, dopo che il presidente allora jugoslavo, Slobodan Milosevic, si era rifiutato di concordare un accordo di pace per porre fine ad una repressione sugli albanesi del Kosovo. L’aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/Serbia fu motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella regione. Queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale, cioè i Paesi più ricchi della Terra, con il loro braccio armato, la Nato, decretarono l’aggressione alla Jugoslavia.
Gli attacchi aerei, che non avevano alcun mandato delle Nazioni Unite, hanno ucciso centinaia di civili, bombardando obiettivi civili e militari. Molti bambini morirono durante gli attacchi. Furono distrutti ospedali, abitazioni, scuole, ponti, chiese, monasteri. Questi attacchi vennero cinicamente definiti dagli ufficiali della Nato come danni collaterali, benché si trattasse di attacchi il cui obiettivo era di distruggere il morale della popolazione, con l’intimidazione intenzionale come strumento.
Dopo 26 anni, i bombardamenti continuano a pesare sulla popolazione per le conseguenze disastrose dell’uso dell’uranio. Negli attacchi Nato contro la Serbia nel 1999 furono utilizzate tra le dieci e le quindici tonnellate di uranio impoverito, che causò un grave disastro ambientale. In Serbia, a causa dell’uso di uranio, 33mila persone si ammalano ogni anno, un bambino ogni giorno.
La strage silenziosa dell’uranio impoverito
In una relazione sull’uranio impoverito condotta nel 2000, l’alleanza ha ammesso l’uso di queste armi sia in Iraq che nei Balcani. Secondo la relazione, le truppe americane e britanniche utilizzarono circa 300 tonnellate di munizioni all’uranio impoverito in Iraq. Il rapporto ha inoltre affermato che la Nato “ha confermato l’uso di munizioni munite di uranio impoverito anche durante gli attacchi nel Kosovo, dove sono state utilizzate circa 10 tonnellate di uranio impoverito.
Il Tribunale penale internazionale dell’Onu per l’ex Iugoslavia ha ammesso l’uso di proiettili all’uranio impoverito da parte degli Nato, ma ha affermato che “non vi era alcun divieto specifico per l’uso di tali proiettili”.
Ironia della sorte l’Italia, che ha partecipato ai bombardamenti del 1999 con l’operazione Allied Force, ha mandato successivamente i suoi inconsapevoli militari alle missioni di “pace” all’estero: Bosnia Erzegovina, Serbia, Kosovo, Eritrea, Afghanistan, Iraq e Gibuti, senza avvisarli delle giuste precauzioni da prendere contro un nemico subdolo e all’apparenza innocuo come l’U235. Parliamo di uranio impoverito. Parliamo di 7.678 militari italiani malati e oltre 300 morti.
di Cristina Amoroso