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Una Turchia imbavagliata incorona il nuovo “Sultano”

di Salvo Ardizzone

Il “sultano” ha vinto la sua scommessa: con il 49,3% dei voti, il suo partito, l’Akp, ha ottenuto 315 seggi su 550, una maggioranza assoluta schiacciante che gli permetterà di governare in solitudine, mancando solo per un soffio quei 325 seggi con cui potrebbe cambiare la Costituzione, incoronandolo padrone assoluto della Turchia (e c’è da scommettere che le manovre per assicurarsi quella manciata di voti siano già iniziate).

Un successo travolgente (+9% di voti dal giugno scorso) costruito in 5 mesi mobilitando l’intero apparato dello Stato che domina da 13 anni, imbavagliando la stampa con leggi liberticide, oscurando canali televisivi, commissariando giornali scomodi, scatenando le trame oscure dello “Stato Profondo” che hanno insanguinato la Turchia con centinaia di morti e riattizzando la guerra sopita con i curdi, al prezzo di 2mila guerriglieri massacrati dall’aviazione e almeno 230 morti fra forze di sicurezza e civili coinvolti negli scontri.

Erdogan s’è giocato il tutto per tutto, compresa l’arma dei migranti spediti a ondate su un’Europa balbettante, che s’è affrettata a correre al suo fianco con una Merkel che portava miliardi e appoggio politico, dimenticando l’aiuto dato all’Isis, la deriva autoritaria (meglio, dittatoriale) impressa al Paese e i tanti scandali.

La Turchia profonda dell’Anatolia e del Mar Nero, frastornata dagli eventi e sistematicamente disinformata, s’è affidata di nuovo a lui, “l’uomo forte”, regalandogli la vittoria in elezioni che hanno segnato un nuovo picco d’affluenza: l’87,2, che ha superato l’83,9 di giugno.

Sulla Costa Egea e in Tracia hanno tenuto i kemalisti del Chp, che col 25,3% mantengono i 132 seggi ottenuti alle scorse elezioni; sono crollati i nazionalisti dell’Mhp, che vedono i propri seggi dimezzarsi da 80 a 42, con un travaso di consensi verso l’Akp, proprio quello a cui aspirava Erdogan.

Il partito curdo di sinistra, l’Hdp, al centro di una campagna devastante di demonizzazione, perde circa il 3% ma col 10,4% riesce comunque a entrare in Parlamento conservando 59 seggi degli 80 che aveva.

Adesso il “sultano” potrà riprendere la sua marcia verso il potere assoluto, forte della vittoria e degli appoggi che gli vengono dal Golfo, in una regione resa esplosiva dagli eventi che stanno maturando in Siria ed Iraq, e che stanno vedendo crollare la sua politica estera in piena rotta di collisione con le potenze che s’affermano nell’area: Russia e Iran.

Uno sviluppo pericoloso, che non mancherà d’acuire le tensioni non solo con il Pkk, con cui è tornato ormai in guerra aperta, ma anche con le formazioni dell’Ygp che sono di tutt’altra pasta.

Con un’economia sempre più in affanno, per distrarre il Paese non gli rimarrà che giocare l’eterna carta del nazionalismo e dell’impegno militare, con tutte le disastrose conseguenze, perché quella parte di mondo è ormai cambiata.

La Turchia (e l’intero Medio Oriente) non merita che un simile personaggio trascini il suo Paese nel disastro, sacrificandolo alla propria patologica ambizione.

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