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Una Grecia verso la svolta di una possibile uscita dall’Euro

di Salvo Ardizzone

La Grecia andrà al voto il 25 gennaio e, secondo i sondaggi, è Syriza che dovrebbe avere la vittoria. Come abbiamo già detto di recente, Tsipras, il suo leader, ha già dichiarato che intende rimettere in discussione gli accordi imposti dalla Troika (Fmi, Commissione Ue e Bce), tagliare il debito pubblico e ribaltare tutta la politica d’austerità che ha letteralmente massacrato la società greca, spingendo il Paese sulla soglia della crisi umanitaria.

Tsipras è convinto che Bruxelles non possa permettersi che Atene abbandoni l’Euro, perché i contraccolpi sarebbero devastanti in una situazione che resta ancora in bilico; già ora è bastata la sola prospettiva per mandare a picco le Borse del Continente e farne affondare la moneta; è sicuro che la Ue, pur di evitarlo, sarà costretta a scendere a patti.

La risposta tedesca non s’è fatta attendere, affidata a Der Spiegel, una delle più autorevoli testate tedesche, di cui il Governo si serve spesso per i suoi “messaggi”. Citando fonti governative riservate ma autorevoli, il giornale ha annunciato che la Cancelliera Merkel e il suo Ministro delle Finanze Schauble, giudicano inevitabile che la Grecia lasci l’Euro se Syriza dovesse vincere le elezioni, ma ritengono che la situazione complessiva dell’Eurozona sia assai migliorata rispetto a qualche mese fa, visto che Irlanda e Portogallo hanno risanato i bilanci (uscendone a pezzi, ma poco importa), la Bce ha gli strumenti e la liquidità per salvare gli Istituti di Credito in difficoltà e il nuovo “Meccanismo Europeo di Stabilità” sosterrebbe gli Stati che dovessero vacillare (Italia? Francia?). Insomma, se la Grecia, dopo essere stata distrutta da politiche assurde, vuole andare per la sua strada, faccia pure. È un chiarissimo messaggio ad Atene, per dire che Berlino non cederebbe d’un millimetro dinanzi a quella minaccia.

Non solo: strumenti e liquidità faticosamente messi in campo dalla Bce di Draghi a costo di duri scontri contro l’ottusità dei soliti “falchi” del Nord, con l’intento d’essere usati per lo sviluppo, nello scenario prefigurato dalla Merkel verrebbero dirottati in difesa dei bilanci e delle eterne politiche di rigore.

La Merkel ora può parlare così perché da un canto, attraverso il meccanismo “Target 2”, ha scaricato sull’Eurozona (cioè su tutti) circa 500 Mld di crediti difficilmente esigibili che le sue banche avevano con quelle dei Paesi a rischio (principalmente Spagna e Grecia); dall’altro ha pompato nei suoi Istituti di Credito circa 250 Mld di aiuti di Stato (alla faccia dei divieti Ue). Adesso, per il Governo di Berlino, l’uscita della Grecia dall’Euro sarebbe non solo “tollerabile” ma “auspicabile”, perché non solo toglierebbe di torno il problema Atene, ma eliminerebbe la possibilità di politiche espansive.

Inutile perder tempo a giudicare simili comportamenti cinici quanto miopi, resta il fatto che s’annuncia un 2015 tormentato per l’Euro, per l’Eurozona e soprattutto per la Grecia. Se è vero infatti che nel Trattato di Lisbona del 2009 è stata introdotta la “clausola d’uscita”, che segna la contorta procedura per l’uscita dalla Ue, nel Trattato istitutivo della Moneta Unica il passaggio all’Euro è visto come irreversibile. Tuttavia, da parte di Atene sarebbe pur sempre possibile una decisione politica extra giuridica, negoziata con gli altri singoli sottoscrittori (e immaginate voi le condizioni che imporrebbero!): un’uscita volontaria, magari forzata dalle crescenti ed impossibili richieste della Ue per ottenere altri prestiti. E per la Grecia, con un debito per quanto rinegoziato pur sempre in Euro, un default inevitabile dinanzi e tassi altissimi per ottenere crediti, che solo la speculazione internazionale potrebbe concedere, si aprirebbero altri scenari da incubo.

È l’ennesima conseguenza del servaggio e dello sfruttamento a cui è sottoposto un Continente intero, nella morsa di politiche liberiste e ridotto a strumento dell’imperialismo: da Nord, con il crescente strapotere di Berlino, e da oltre Atlantico, col permanere d’un dominio che impone scelte cieche nell’interesse d’altri, di cui la contrapposizione con la Russia e le sanzioni conseguenti sono solo l’ultimo episodio.      

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