Turchia, il Giano bifronte tra Ue e Medio Oriente. Occhio al Sultano Erdogan
Quest’estate abbiamo lasciato Erdogan alle prese con qualche difficoltà quando dal Parco Gezi si erano scatenate le proteste turche del 2013 e la polizia faceva irruzione nelle case dei “ribelli”. Ora lo ritroviamo più vivo e attivo che mai, mentre la generazione del Parco Gezi si incanala in un partito simile al Movimento 5 Stelle, approvato dal Ministero degli Interni, con tanto di sigla, GZP, e simbolo, rappresentato da un albero il cui tronco ricorda il corpo di un uomo.
A distanza di qualche tempo la Turchia oltre che il Giano bifronte raffigurato con due volti perché il Dio può guardare futuro e passato, ci ricorda anche Isimud, il Dio messaggero dell’antica Mesopotamia sumerica, il primo a comparire nella storia con due facce rivolte in direzioni opposte.
E l’attuale Turchia sempre di più mostra una faccia rivolta ad Occidente ai Paesi Ue ed una all’Oriente, portando nel nome di Giano il significato di “porta” aperta al sole che nasce e al sole che muore.
Le distanze con l’Occidente si accorciano sempre di più, non solo perché l‘Unione Europea, dopo tre anni, ha deciso di riaprire i negoziati di adesione con la Turchia a fine ottobre, ma anche perché nel 90° anniversario della fondazione della Repubblica di Ataturk, sempre a fine ottobre, il “Sultano” Erdogan ha inaugurato il Marmaray, il tunnel sommerso sotto il Bosforo che collega l’Europa all’Asia, realizzando un vecchio sogno del sultano ottomano Abdul Mejid I. Sono 76 i km dell’imponente sistema ferroviario che collegherà Londra a Pechino raccordandosi alla Via della Seta, altra meraviglia tecnologica dell’ambizione cinese che inizia a Xian e si propone di attraversare l’Europa partendo da Istanbul.
Ma è in politica estera che la Turchia sembra andare a tutto gas. E’ di pochi giorni fa la notizia giunta da Teheran di un appello congiunto Iran-Turchia per il cessate il fuoco in Siria, dopoché l’Onu ha annunciato per il 22 gennaio una Conferenza a Ginevra per la pace in Siria.
“Tutti i nostri sforzi devono puntare a porre fine agli scontri e ad imporre un cessate il fuoco”, ha detto il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, dopo avere incontrato a Teheran il suo omologo turco Ahmet Davutoglu, aggiungendo che, “se possibile”, la sospensione delle ostilità dovrebbe avvenire prima dei colloqui di Ginevra. “Con l’aiuto di tutti possiamo ottenere un cessate il fuoco ed estinguere le fiamme della guerra in Siria”, gli ha fatto eco Davutoglu, dopo che l’Esercito libero siriano (Esl) e i gruppi jihadisti della ribellione avevano escluso in precedenza di accettare una tale condizione.
Prima di andare a Teheran il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu all’inizio di questo mese aveva ospitato il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ad Ankara. Poi era andato a Baghdad dove aveva incontrato il primo ministro iracheno Nouri al- Maliki. Davutoglu aveva anche visitato Washington, scritto un editoriale pubblicato da Foreign Policy lodando la “partnership strategica” US – turca, e di fronte a “un contesto geopolitico sempre più caotico”, aveva fatto in modo di sostenere i negoziati Usa- Iran. Aveva anche partecipato con Erdogan ad un incontro al alto livello con il presidente russo Vladimiri Putin e il ministro degli Estri Sergei Lavrov in St. Pietroburgo.
Che cosa nasconde questa attività frenetica? Che cosa vuole Ankara da Washington per avere caldeggiato la normalizzazione dei rapporti Usa-Iran? E’ solo la benedizione che Erdogan vuole per l’oleodotto che collegherà il Kurdistan iracheno alla Turchia, bypassando Baghdad?
Certo l’alleanza con il Kurdistan iracheno significano più voti curdi nelle prossime elezioni del 2014 per il partito al governo. Sta di fatto che il governo turco ha teso la mano ai 15 milioni di persone che rappresentano la minoranza curda, il pacchetto di misure decise da Erdogan sono improntate ad una maggiore “democratizzazione” che giova al dialogo di pace con i ribelli del Kurdistan turco ma anche alla nuova identità di un paese che aspira ad entrare nell’Unione Europea.
Inoltre Erdogan deve affrontare il problema siriano. Quando la Turchia ha cominciato a ricevere i profughi siriani, il governo aveva indicato un tetto massimo di accoglienza di 100mila persone. Al momento il numero dei rifugiati ha superato i 600mila, dato destinato ad aumentare. Fin dall’inizio sulla questione la Turchia ha adottato una politica che respingeva ogni tipo di interferenza delle istituzioni e delle potenze internazionali ed ora è arrivata al punto di non riuscire più a sostenerlo.
E’ la frenesia di un Paese che si pone come porta-ponte tra Occidente e Oriente, elogiato da Obama e alleato di Putin, crocevia di oleodotti dal Medio Oriente all’Europa.
Come Putin è in ascesa nel Caucaso, ugualmente sul Bosforo è in ascesa il Sultano Erdogan che importa quasi tutto il suo petrolio, carbone e gas naturale dalla Russia, sulla quale poggia anche il suo piano ambizioso di costruire 23 centrale nucleari entro il 2023. Mosca sarà non solo il costruttore ma anche il principale fornitore di combustibile nucleare per le centrali nucleari turche. La Turchia non è l’Iran. Per la Turchia certamente non sono previste sanzioni dall’Occidente!