Tunisia, a sei anni dalla Rivoluzione dei Gelsomini
Vaste proteste hanno segnato il sesto anniversario della Rivoluzione dei Gelsomini, che ha messo fine all’autoritarismo di Zine El Abidine Ben Ali, ed ispirato una serie di rivolte in altre dittature arabe, ma non è riuscita a mettere in atto “il contratto di pane” in tutta la Tunisia.
Nel sesto anniversario della Rivoluzione dei Gelsomini, accanto a varie manifestazioni pacifiche, sono scoppiate proteste nelle regioni rurali centro-meridionali, che restano focolai di disordini nelle città marginali dove molti giovani tunisini vedono poche opportunità economiche o progresso, nel corso di un deterioramento della situazione economica. Le folle si sono riunite, senza molto clamore nella capitale, Tunisi, sventolando bandiere nazionali e cantando l’inno nazionale tunisino.
A Gafsa, giovani hanno protestato contro la visita del presidente Beji Caid Essebsi, lanciando pietre e bloccando la strada. I media locali hanno riferito che il convoglio del presidente è stato costretto a cambiare il suo percorso prima di ripartire in aereo. Le forze di sicurezza hanno sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti.
A Sidi Bouzid, la culla della Rivoluzione dei Gelsomini innescata dalla morte di un venditore ambulante, Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco per protestare contro la corruzione e gli abusi, in centinaia hanno dimostrato davanti al governatorato locale, facendo le stesse richieste, come sei anni fa.
Analoghe manifestazioni sono state anche organizzate in diverse città del sud, tra cui Ben Guerdane, dove i manifestanti hanno bruciato pneumatici e dichiarato uno sciopero generale per protestare contro la mancanza di sviluppo economico. A Meknassi, la polizia ha arrestato alcuni manifestanti.
Ma le proteste sono continuate a Meknassi e Manzel Bouziane anche sabato, dopo che il primo ministro Youssef Chahed, il giorno prima, aveva riconosciuto alla televisione nazionale che le autorità erano finora riuscite a rispondere alle lamentele del popolo tunisino.
Il lungo inverno di malcontento della Tunisia
Con la Rivoluzione dei Gelsomini, la Tunisia ha in gran parte evitato la violenza politica che ha afflitto gran parte del mondo arabo. Il Paese nordafricano è emerso come simbolo di pace cambiamento democratico con elezioni libere, una nuova costituzione e compromesso tra islamisti e laici rivali.
Come molti Stati in via di sviluppo, la Tunisia è saltata sul carro del “Washington consensus”, che ha significato rettifiche fiscali, politiche e sociali. Ciò ha portato ad una diminuzione delle sovvenzioni statali, alla privatizzazione, alla scarsa convertibilità del dinaro tunisino, a vaste vendite di terreni con proprietà straniera di beni immobili, località turistiche in leasing, nuovi ricchi, modelli di consumo, grandi commissioni di lavoro, monopoli commerciali e corruzione.
Una passeggiata nei viali, nei centri ricreativi e sportivi, nei centri commerciali delle zone costiere verdi rivela una Tunisia che guarda e si sente come una terra di genialità, di gioia, nel linguaggio ufficiale di propaganda, un “modello” di sviluppo degno di emulazione. I modelli di sviluppo e di distribuzione sono applicati solo alle città costiere e settentrionali. Le rivolte di Sidi Bouzid e delle città circostanti chiamano in discussione anni di sviluppo diseguale e mis-distribuzione.
Nel 1943, Sidi Bouzid è stata teatro di un’altra battaglia, quella per la libertà da parte delle forze alleate contro i nazisti. Oggi, come sei anni fa, è il teatro di un’altra battaglia. Una battaglia per la libertà dalla fame. La stessa fame che portò Mohamed Bouazizi a darsi fuoco in segno di protesta per le condizioni economiche del suo Paese, divenuto simbolo delle sommosse popolari in Tunisia, acclamato, insieme ad alcuni suoi emuli, da alcuni commentatori arabi “martiri eroici di una nuova rivoluzione del Medio Oriente”. Bouazizi viene in mente quando si leggono le parole dell’inno nazionale della Tunisia: “Noi moriamo, moriamo, in modo che la patria viva”.
di Cristina Amoroso