Donald Trump ha travolto Hillary Clinton e l’establishment Usa che la sosteneva; alle 08,33, dopo aver superato la soglia dei 270 grandi elettori, è stato proclamato il 45° Presidente degli Stati Uniti. Per i Democratici è stato un flop devastante quanto inaspettato: oltre ad aver perduto la Casa Bianca, rimangono in minoranza sia al Senato che alla Camera.
Da una prima analisi dei dati, alla radice di questa debacle c’è stata la disaffezione della tradizionale base elettorale democratica per una candidata, la Clinton, perfetta emanazione dell’establishment e dei poteri forti a Stelle e Strisce.
Dall’altra parte, Trump ha puntato sulle paure, sulla rabbia, sulla frustrazione di un’America profonda bigotta e conservatrice, impoverita prima dalla crisi e poi dagli effetti della globalizzazione che ha fatto le fortune di Wall Street e delle multinazionali.
Le stesse minoranze (neri, ispanici, asiatici), tradizionali sostenitrici dei Democratici, hanno fatto mancare il loro appoggio compatto ad una candidata percepita come troppo distante, disertando le urne o preferendole addirittura Trump, con il suo rozzo messaggio populista.
A vincere, più e assai prima dell’inesistente programma del tycoon newyorkese, è stato il rigetto dell’America profonda per le elites del proprio Paese; a pesare su vaste fasce dell’elettorato è stata la fine della favola bugiarda dell’American Dream. Le diseguaglianze sempre più stridenti hanno avuto ragione della narrazione fasulla di un’America che non c’è.
È stato un voto di pura protesta, indirizzato verso il più improbabile dei candidati. Sia come sia, la contesa fra i due più impopolari candidati alla Presidenza della storia americana è finita e Trump dovrà governare con una piattaforma programmatica fatta di slogan superficiali e rozzi contro l’intero establishment, che farà di tutto per paralizzarlo e continuare a servire le lobby e i centri di potere tradizionali a Stelle e Strisce.
di Redazione
