Europa

Traffico di armi, porti europei in fermento

“Fuori la guerra dalle nostre vite!” è l’appello dei portuali genovesi che nei mesi scorsi, nel porto di Genova, si sono mobilitati per impedire l’imbarco di materiale bellico diretto in Arabia Saudita e destinato alla guerra in Yemen. Analoghe manifestazioni a sostegno del blocco del traffico di armi si sono tenute in altri porti europei (Le Havre e Marsiglia, ancora prima a Bilbao) contro le navi della compagnia saudita Bahri, che rifornisce d’armi e mezzi militari tutto il Medio Oriente. A maggio scorso i camalli avevano vinto la loro “guerra alla guerra”. La nave cargo saudita era ripartita senza caricare i generatori elettrici che sarebbero serviti per la guerra in Yemen. 

“Da Genova a Livorno chiudiamo i porti alla guerra”, dice lo striscione affisso il 17 febbraio, in piazza Grande a Livorno dalla Federazione anarchica livornese che ha organizzato un presidio “contro il traffico di armi nei porti”. Anche Amnesty International, nei giorni scorsi, si è espressa sulla questione, giungendo alle stesse conclusioni della Federazione anarchica e dichiarando di opporsi con forza alla possibilità che armamenti di qualsiasi tipo circolino negli ambienti portuali. Solidarizzare con la lotta in corso a Genova è importante soprattutto a Livorno, nel cui porto già fanno scalo ogni mese le navi della Liberty Global Logistics, compagnia che per conto del Dipartimento della Difesa Usa trasporta mezzi da combattimento o militari da Camp Darby verso il Medio Oriente.

I venti di guerra non si fermano

I venti di guerra non si fermano come dimostrano benissimo gli sviluppi drammatici legati alle guerre in Siria, in Yemen, al conflitto libico e all’aggressione statunitense in Iraq. Sono conflitti sanguinosi che mietono vittime giornalmente, devastano territori, spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro Paesi per emigrare. Il complesso militare industriale è tra i molti responsabili di questa escalation in combutta con governi sempre pronti ad approvare politiche di saccheggio verso le risorse naturali in varie zone del mondo. 

Il combinato disposto con una crisi economica che non è risolvibile all’interno del sistema capitalista e neoliberista rende la guerra come una costante nelle nostre società. Fermarli però è possibile cominciando dai nostri territori, boicottando la guerra cominciando da casa nostra.

Cresce mobilitazione internazionale contro traffico di armi

Se i venti di guerra non si fermano, non si ferma nemmeno la mobilitazione internazionale di molti porti europei. In prima linea il Collettivo autonomo lavoratori portuali e i delegati Filt Cgil, per i quali la questione è seria e intendono coinvolgere la Camera del Lavoro per allargare lo sciopero ad altre categorie. La posizione dei lavoratori non ammette mediazioni e segue la linea del  boicottaggio e la non collaborazione. Molte le associazioni al fianco dei lavoratori che lanciano la mobilitazione, che si concretizzerà solo al momento dell’effettivo attracco della Bahri Yanbu (inizialmente previsto per il 12, poi slittato).

L’arrivo della Bahri Yanbu tra proteste e polemiche

Doveva arrivare il 18, ma senza destare molta attenzione, la Bahri Yanbu  accelerando la sua marcia in tutta fretta, ha oltrepassato lo stretto di Gibilterra ed è arrivata a Genova il giorno prima attorno alle 10,30.  Il successo del maggio scorso ha portato alla decisione di militarizzare il porto. Ingresso proibito ai non lavoratori, varchi presidiati dalle forze dell’ordine. Ai camalli non è rimasto altro da fare che protestare e chiedere al prefetto maggior controllo, rispetto della Costituzione e della risoluzione parlamentare sulla sospensione della fornitura di armi in Yemen. Agli attivisti lontani dalla nave non è rimasto altro che fare sentire da lontano la loro voce, mostrare lo striscione “Shame”, cori e fumogeni in segno di protesta. Nei porti europei rimane la tensione, così come la complice indifferenza dei nostri governanti.

di Cristina Amoroso

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