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In Estremo Oriente è scontro tra imperialismi

Lontano dall’attenzione di un Occidente focalizzato dalle guerre in Medio Oriente, monta in Estremo Oriente un’altra area di crisi potenzialmente devastante.

Abbandonato il profilo basso un tempo predicato da Deng Xiaoping, da anni Pechino ha assunto una posizione sempre più aggressiva, rivendicando l’intero Mar Cinese a dispetto delle sovranità dei Paesi rivieraschi. Indifferente alle proteste, ha messo quegli Stati dinanzi a una serie di fatti compiuti: costituzione di una zona di difesa aerea attorno alle Senkaku giapponesi, allocazione di piattaforme petrolifere in acque vietnamite, costruzione di isole artificiali per ospitare basi militari nelle isole Spratly rivendicate da diversi Paesi, sono solo alcuni degli episodi che hanno innalzato la tensione dell’area.

Quella cinese è una strategia di lungo respiro che mira a costruire una propria egemonia e a tastare le reazioni degli Usa. Washington sa che non può lasciar correre, pena la perdita di ogni influenza nel Pacifico, e reagisce. Così è un succedersi di provocazioni reciproche che i due imperialismi si lanciano: pattugliamenti condotti dagli Usa nei pressi delle basi cinesi nelle Spratly a cui la Cina risponde con esercitazioni e sorvoli nel Mar Cinese Meridionale, e così via in un gioco assurdo quanto potenzialmente pericoloso.

I “messaggi” di Pechino non sono rivolti solo agli Usa, ma mirano a intimidire Taiwan, Malaysia, Filippine e Vietnam, per convincerli che per loro è assai più conveniente inchinarsi al Dragone che pensare di contrastarlo. Ma questo è considerato solo un contorno.

L’avvertimento vero è destinato al Giappone, l’altra potenza dell’area e storico avversario regionale. Il vasto programma di ammodernamento del sistema di difesa intrapreso da Tokio, le esercitazioni congiunte con la Marina Usa e i legami che sta stringendo con gli altri Paesi che si sentono minacciati, sono visti assai male da Pechino che, consapevole della potenza raggiunta, ora non tollera più ostacoli ai propri programmi.

Ma è proprio l’aggressiva politica cinese che sta producendo l’avvicinamento a Tokio di Paesi che, per comprensibili ragioni storiche, mai l’avrebbero fatto, come le Filippine. D’altronde, malgrado gli stretti rapporti economici su cui conta per aver partita vinta, la Cina considera il Giappone il vero obiettivo; piegato lui tutti gli altri seguirebbero. A questo punta il contenzioso sulle isole Senkaku, isole giapponesi su cui la Cina alterna rivendicazioni a provocazioni.

Gli Usa approfittano della situazione per accreditarsi come “alleati” e moltiplicano anche loro le esibizioni “muscolari” di navi e aerei: entro fine anno hanno in programma un’altra esercitazione nel Mar Cinese, a cui Pechino certamente risponderà. È la sorda competizione di due imperialismi: il vecchio a Stelle e Strisce e il nuovo, cinese, che ostenta una bandiera rossa che ha rinnegato da molto tempo ogni suo significato, simboleggiando ora solo sfruttamento.

di Salvo Ardizzone

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