Striscia di Gaza, i traumi psicologici nella mente dei bambini

A raccontare come stanno le cose nella Striscia di Gaza è la voce di chi vede giorno dopo giorno quanto accade. Aya Ashour non usa mezzi termini: “Il conflitto militare, come tradizionalmente inteso, ha esaurito tutte le sue possibilità, nei fatti è finito mesi fa. Quello a cui assistiamo oggi è uccidere per il gusto di uccidere, distruggere per il gusto di distruggere. Non si tratta di una guerra convenzionale volta a sconfiggere un avversario e a vincere, ma si tratta di una guerra di sterminio, la tragica continuazione del progetto della Nakba iniziata nel 1948 come atto sistematico di genocidio”.
Tutto ciò ha un impatto devastante sull’aspetto psicologico di chi si trova a vivere in una situazione di conflitto, le guerre passate ce lo hanno insegnato. I traumi non sono solo quelli fisici ma soprattutto quelli psicologici. In Palestina un bambino su due soffre del Disturbo Post Traumatico da Stress, i sintomi sono noti: non si dorme, si ha paura di ogni minimo rumore, stati d’ansia perenni, si smette di parlare, si guarda nel vuoto e nei bambini soprattutto si fanno disegni che raffigurano la morte.
Vite segnate nella Striscia di Gaza
La guerra non lascia solo ferite fisiche ma anche invisibili, che non si rimarginano da sole e che se non curate, non passano mai. Traumi psicologici che più si è piccoli più queste ferite hanno effetti di lunga durata, tanto da aver coniato un neologismo terrificate: “Sindrome Palestinese” e Continuos Traumatic Stress Disorder, una condizione in cui l’esperienza traumatica non ha mai un’interruzione, con il corpo che rimane intrappolato in uno stato di tensione e reazione continua.
In quello che rimane della Palestina ci sono ancora 250 psicologi per 5,5milioni di abitanti, uno ogni 22.232 persone, metà della popolazione ha meno di 18 anni. Questo significa che vi è disponibilità di un solo psicologo per 11mila bambini di cui 4mila con sintomi compatibili con un trauma psicologico.
Tutto questo, in qualsiasi altra parte del mondo, sarebbe definita “catastrofe sanitaria”, in Palestina è ordinaria amministrazione.
A cercare di far qualcosa ci pensano diverse realtà come l’associazione “Soleterre” da anni presente nei contesti più fragili, che ha deciso di costruire a Betlemme il primo centro per la cura del trauma psicologico infantile in Palestina. Ricevere le cure necessarie non è un privilegio ma un diritto di tutti, soprattutto dei bambini. Curare un trauma è ridare nuova vita.
di Sebastiano Lo Monaco