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Stefano Cucchi: quanto vale la vita di un ragazzo qualunque?

di Cristina Amoroso

Tutti assolti, i sei medici, i tre infermieri e i tre agenti della polizia penitenziaria, al processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 per detenzione di droga e deceduto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma. In primo grado erano stati condannati i medici e assolti infermieri e agenti.

Eppure la mattina del 3 novembre 2009, in occasione dell’informativa sulla morte di Stefano Cucchi, l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano aveva esordito rivolgendosi all’Aula del Senato con queste parole: “Stefano Cucchi non doveva morire, si doveva evitare che morisse… Ecco perché il governo è in prima linea per accertare la verità… Sia chiaro fin d’ora che ai cittadini tutti dovrà essere al più presto fornito ogni dettaglio di verità” e che “i responsabili” della morte di Cucchi “saranno chiamati alle loro responsabilità senza sconto alcuno”.

Da quelle illuminanti parole la giustizia ha fatto il suo corso. Un processo difficile, un fascicolo enorme, contenente decine di consulenze, una maxi-perizia e le dichiarazioni di quasi 150 testimoni. In primo grado i giudici arrivarono ad una conclusione diversa da quella prospettata dalla pubblica accusa. Stefano Cucchi non fu picchiato, ma morì in ospedale per malnutrizione e l’attività dei medici fu segnata da trascuratezza e sciatteria. Per questo decisero che gli unici colpevoli fossero i medici e mandarono assolti infermieri e agenti.

A distanza di cinque anni dalla morte del trentenne “non pestato”, ma morto con il volto e la schiena coperti di lividi davanti ad una gigantografia del volto tumefatto di Cucchi esposta durante il processo,  la Corte d’Assise d’Appello, dopo circa tre ore di camera di consiglio, ha pronunciato la sentenza di assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 che in sostanza rispecchia la vecchia formula dell’assoluzione per “insufficienza di prove”.

Il procuratore generale aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati, ribaltando la sentenza di primo grado e aveva sollecitato la condanna a due anni per i tre agenti carcerari, ad un anno per i tre infermieri dell’ospedale Sandro Pertini, a tre anni per il primario della struttura ospedaliera, a due anni per altri quattro medici. Le difese hanno chiesto l’assoluzione e la nullità della sentenza di primo grado che ha cambiato l’imputazione con la restituzione degli atti al Pm per riformularla.

Poco dopo la lettura della sentenza il legale della famiglia Cucchi, ha annunciato ricorso in Cassazione: “Era quello che temevo – ha detto riferendosi alle assoluzioni degli imputati – vedremo le motivazioni, e poi faremo ricorso ai giudici della Suprema Corte”.

“Non ci arrenderemo mai finchè non avremo giustizia”, hanno commentato i genitori, piangendo: “Non si può accettare che lo Stato sia incapace di trovare i colpevoli. Noi vogliamo sapere esattamente chi siano i responsabili”. “Per quale motivo sarebbe allora morto Stefano?”, ha chiesto il padre, Giovanni.

Un’indagine approssimativa sulla morte, che è arrivata alla conclusione che il ragazzo è stato sì pestato, ma non si ha la prova che quelle percosse abbiano causato il decesso. Una sentenza vergognosa che mette ancora una volta in evidenza il nostro sistema carcerario, dove non c’è cittadinanza per lo Stato di Diritto e per il rispetto dei diritti umani. Una sentenza grottesca che evidenzia come troppo spesso basta indossare una divisa per avere la certezza dell’impunità. Una  sentenza scandalosa che testimonia il mal funzionamento del nostro sistema giudiziario che applica pesi e misure diverse, capace di scegliere quali soggetti colpire e quali risparmiare.

“La giustizia ha ucciso Stefano. Mio fratello è morto in questo palazzo cinque anni fa, quando ci fu l’udienza di convalida del suo arresto per droga, e il giudice non vide che era stato massacrato”. E’ questa la conclusione a cui è arrivata la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, decisa a continuare a lottare per sapere la verità sulla morte del fratello Stefano.

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