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Sovranità alimentare e agricoltura sostenibile. La lezione di Cuba

Sovranità alimentare e agricoltura sostenibile. La lezione di Cuba – Si muore per fame come si muore per obesità. Il nostro modo di fare e mangiare cibi sta mettendo il nostro ambiente e il futuro stesso del cibo a rischio. Non è un caso che il tema centrale di Expo 2015 sia stato “Nutrire il pianeta”, come non è un caso che lo sradicamento della povertà estrema e della fame nel mondo siano stati indicati al primo posto dei Millennium Development Goals.

Se in Italia i finanziatori Expo 2015 del buon cibo italiano sono stati Coca Cola, Nestlè, McDonald, Srtarbucks e Monsanto, in Yemen, il Paese più povero del mondo arabo, il deterioramento del conflitto minaccia la fragile sicurezza alimentare, già sofferta dal 41 per cento della popolazione.

Nel 2008 ha avuto inizio la crisi alimentare che si è intrecciata con uno tsunami economico, nel 1989 un altro tsunami economico si era riversato su Cuba, facendo precipitare gli alimenti e l’agricoltura di Cuba in anni di austerità, fame, e una revisione radicale.

Il blocco sovietico si stava sgretolando velocemente, con l’invio di onde d’urto in tutto il mondo. All’inizio di quell’anno, il mercato internazionale socialista tagliò i tassi commerciali favorevoli a Cuba, limitando bruscamente per l’85 per cento il commercio della piccola nazione. Gli aiuti sovietici, un pilastro dell’economia di Cuba svanirono, sostituiti dalle sanzioni economiche statunitensi.

Quando l’Unione Sovietica collassò, anche l’agricoltura cubana crollò. Le importazioni di petrolio diminuirono del 53 per cento, la fornitura di pesticidi e fertilizzanti diminuì dell’80 per cento. Cuba fu costretta a tornare alle sue radici contadine di allevamento, mettendo 280.888 animali domestici al lavoro. Gli agricoltori ridimensionarono l’uso dei pesticidi fino all’85 per cento in una vasta gamma di colture, facendo rivivere il terreno con semplici misure vecchio stile di fertilità, e arrivando a produrre l’85 per cento in più di tuberi, l’83 per cento in più di verdure, e 351 per cento in più di fagioli.

Aveva preso l’avvio un’epoca di austerità e di riforme nota come il “periodo speciale in tempo di pace”. Per pura necessità il governo di Castro aveva iniziato una “rivoluzione agroecologica” facendo riferimento a una scienza agricola sviluppata in America Latina. Nel 1990, Cuba iniziò eliminando le sue grandi aziende statali, che si basavano – come i suoi omologhi americani – su raccolti di monocolture ottenuti principalmente con macchinari a petrolio.

A migliaia di contadini si concesse il diritto d’uso della terra, semi e incentivi. Nel successivo decennio i contadini passarono a fertilizzanti organici, a colture tradizionali e razze di animali diversificate, a rotazione delle colture, e controlli di parassiti non tossici e uso di piante e insetti benefici. Approccio sostenibile di un’agroecologia o di pratiche agricole secolari?

Secondo Food First, un think tank statunitense concentrato su questioni relative alla giustizia nel settore “cibo”, a Cuba era avvenuta “la più grande conversione dall’agricoltura convenzionale a quella biologica e semi-organica che il mondo abbia mai conosciuto”, con principi guida degli agricoltori, tra cui: “Partenza lenta, e piccoli inizi”; “limitare l’introduzione di tecnologie” e “sviluppare un effetto moltiplicatore” della conoscenza contadina.

“Nessun altro Paese al mondo ha raggiunto questo livello di successo con una forma di agricoltura che utilizza i servizi ecologici di biodiversità e riduce i food miles, il consumo di energia, chiudendo in modo efficace i cicli di produzione e di consumo locali”.

Forse la cosa più notevole è l’esplosione a Cuba dell’agricoltura urbana. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il governo di Castro distribuì 13 ettari di terreni agricoli a giovani agricoltori entro un raggio di 10 miglia di centri urbani, al fine di garantire che le persone in città potessero mangiare. A livello nazionale, circa 383mila fattorie urbane producono più di 1,5 milione di tonnellate di ortaggi. La rivoluzione biologica di Cuba ci dà anche un avvertimento. Abbiamo due paradigmi che si scontrano: il modello industriale e quello ecologico. L’umanità deve decidersi da che parte andare.

di Cristina Amoroso

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