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Siria, travolgente avanzata verso Aleppo; collassa il fronte dei “ribelli”

di Salvo Ardizzone

Dal 30 settembre la guerra in Siria è entrata in un’altra dimensione; il cambiamento radicale è frutto di un’alleanza contro il terrorismo stretta fra Mosca e Teheran, con la partecipazione di Siria ed Iraq, i due Paesi che ne sono maggiormente colpiti. Un’intesa formalizzata ai primi d’ottobre, con un coordinamento delle operazioni di quello che è nei fatti un unico teatro.

In poche settimane, i risultati della prima e seria iniziativa per combattere i Takfiri (che aderiscano all’Isis o no poco cambia) sono eclatanti, l’ennesima dimostrazione che sin qui non li si è voluti combattere, sfruttandoli piuttosto per destabilizzare l’area e spartirsela dopo.

Per questo, dopo le iniziali proteste di media pilotati e diplomazie interessate, sulle vicende che stanno ridisegnando rapidamente il Medio Oriente è calato il silenzio, impedendo all’opinione pubblica di conoscere i fatti che si svolgono sul campo.

Per comprenderne dinamica, portata, svolgimento e fini, diremo che alla base vi è una precisa strategia e una suddivisione di ruoli fra gli attori sul campo.

La Russia ha proiettato in Siria una forza aerea capace di dare quell’appoggio che mancava alle truppe che combattevano i terroristi; inoltre, ha fornito i mezzi avanzati di cui difettavano e gli specialisti per utilizzarli al meglio.

L’Iran ha preso in mano le operazioni sul campo (al momento coordinate dal generale Qassem Suleimani, il comandante delle Forze al-Quds) schierando dai 5 ai 7mila uomini, al cui fianco sono dai 2.000 ai 2.500 elementi di Hezbollah, oltre a volontari sciiti iracheni e pachistani, tutti a supporto delle forze siriane.

La strategia, in una situazione divenuta complessa dopo quattro anni e mezzo di guerra, deve procedere per gradi in funzione delle priorità: il primo obiettivo è liberare l’ampia area controllata dai terroristi nel nord-est del Paese grazie ai continui aiuti provenienti dalla confinante Turchia; così viene messa in sicurezza la strategica area costiera con i porti e si apre la strada per sbloccare Aleppo, nel nord, la seconda città della Siria. Al contempo, si punta a liberare l’asse viario che da sud a nord collega Damasco con i porti e il settentrione del Paese, fino ad Aleppo; infine, si mira ad eliminare le sacche di “ribelli” che attorniano la Capitale.

Solo dopo avrà un senso spingersi verso est, nelle zone più desertiche e verso il confine iracheno, eliminando le ultime sacche di mercenari.

In questa ottica il 30 settembre è partita una campagna aerea di raid mirati ai depositi, ai comandi, ai centri di comunicazione, alle concentrazioni di mezzi, ai centri di addestramento ed alle vie di comunicazione, che ha drasticamente diminuito le capacità di combattimento dei “ribelli”.

Dopo circa una settimana, sono partite una serie di offensive di terra supportate dall’aria: la prima è iniziata a nord di Hama, per irradiarsi progressivamente nella piana di al-Gaab e a nord-est di Latakia, e spingersi successivamente a nord verso Idlib. A seguire, la seconda si è sviluppata da Damasco verso il sobborgo di Jobar e le alture intorno alla capitale.

La terza, partita il 15 ottobre, ha puntato a nord di Homs, per aprire l’autostrada che porta ad Hama e investire da sud le aree controllate dai “ribelli”.

Infine, il 16 ottobre è scattata la quarta, quella decisiva: dallo sviluppo della prima, a nord-est di Latakia e nella regione di Idlib, si è scatenata quella che porta ad Aleppo; laggiù, malgrado il terreno aspro e le fortificazioni da superare, solo negli ultimi due giorni è progredita di 25 chilometri e continua sempre più rapidamente.

Lo sviluppo coordinato delle operazioni, non solo libera aree sempre più vaste di territorio, ma sta semplicemente sgretolando le bande di terroristi, falcidiate dai combattimenti, dai raid aerei e da diserzioni sempre più massicce.

Secondo rapporti del Ministero della Difesa russo, fino a domenica mattina erano stati effettuati circa 650 attacchi aerei colpendo quasi 450 obiettivi; stime che ridicolizzano gli strike della cosiddetta coalizione internazionale a guida Usa e soprattutto i suoi inconsistenti risultati.

Anche la flotta russa è già intervenuta il 7 ottobre con 26 missili scagliati dal Mar Caspio su bersagli altamente “paganti”; la task force della Marina presente fra Tartus e Latakia si è dichiarata pronta a reiterare gli attacchi, ed è altamente probabile che a breve i missili sostituiranno gli aerei impegnati nell’appoggio ai reparti, per martellare gli obiettivi più importanti.

Fin’ora, a fare le spese delle offensive è stato in buona parte il cosiddetto “Esercito della Conquista”, un’alleanza guidata dai qaedisti di al-Nusra che li vede insieme ai salafiti di al-Sham ed ai cosiddetti “moderati” del Free Syrian Army. Il motivo è semplicemente legato allo svolgersi delle operazioni, perché erano quelle le formazioni ad occupare le aree investite sin’ora; ma già in questi giorni sono sempre più le postazioni dell’Isis distrutte, man mano che le offensive avanzano.

Per come procedono le cose, non servirà molto tempo perché, con buona pace di media e commentatori, il fronte dei “ribelli” collassi. Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita e Qatar lo sanno bene e stanno tentando di fornire quanto più materiale possibile per stabilizzare la situazione, soprattutto sistemi Tow anticarro e ora, pare, sistemi contraerei. La Russia ha reagito rapidamente, montando sui blindati siriani i sistemi antimissile “Shtora”, che “neutralizzano” la minaccia.

Passerà ancora tempo, ed altro sangue dovrà purtroppo essere versato, ma le crisi volute ed alimentate da Washington, dal Golfo, da Israele e dalla Turchia verranno risolte, segnando la sconfitta di quegli imperialismi e l’avvento di un nuovo Medio Oriente.

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