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Servizio Sanitario Nazionale versa in pessima salute

Quando si parla di Servizio Sanitario Nazionale, la prima cosa che viene alla mente sono le lunghe attese. Attese nei Pronto Soccorso, negli ambulatori, telefoniche al numero verde ect.

Se per una risonanza magnetica, a Milano, bisogna aspettare oltre un anno, la stessa pratica può essere evasa nel giro di mezza giornata, basta disporre di novecento euro. Sì, perché tanto costa lo stesso esame che nel pubblico sarebbe gratuito o eseguibile con un piccolo ticket. Ed è proprio il privato il vero oggetto del contendere, perché la gente, messa alle strette, è costretta a spendere se vuole curarsi. Ma non è un caso, dietro c’è un disegno ben preciso.

Servizio Sanitario Nazionale vicino al punto di non ritorno

Dieci giorni fa si è svolta la quindicesima conferenza nazionale del Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (Fondazione GIMBE). Quello che ne è venuto fuori è un quadro sconfortante perché come è emerso: “Il Servizio Sanitario Nazionale è vicino al punto di non ritorno.”

“Universalità, uguaglianza, sottofinanziamento, carenza del personale e avanzata del privato sono i nodi al pettine. I punti fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale sono stati tutti traditi, adesso c’è un nuovo vocabolario come liste d’attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianza, inaccessibilità alle cure, migrazione sanitaria, riduzione dell’aspettativa di vita”, afferma Nino Cartabellotta. Secondo la GIMBE, al primo punto del “Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale,” c’è il finanziamento pubblico. 

Sono 15 i Paesi che investono più dell’Italia nel comparto sanità, dove la spesa pubblica pro-capite si ferma a tremila euro contro la Germania che va al doppio della velocità. Per tentare di avvicinarci alle stime europee ci servirebbero 12 miliardi di euro in più, questo perché la spesa pubblica, nel 2025, scenderà al 6%. Una percentuale al di sotto del periodo pre-pandemico, alla faccia delle tante promesse millantate.

Se il governo Meloni dovesse seguitare le tracce presenti nel Documento di Economia e Finanza del precedente “governo dei migliori”, presieduto da Mario Draghi, il finanziamento per il comparto sanità rasenterebbe il passo dell’inflazione. Sino adesso, però, si è fatto il conto senza l’oste che sarebbe il vecchio “Federalismo.”

Lo squilibrio Pubblico-Privato

Tra il 2011 e il 2021, gli ospedali privati accreditati sono passati dal 47% al 49%, gli ambulatori specialistici privati dal 59% al 60%, le Rsa dal 76% all’85%. La sanità privata cresce e toglie spazio e personale al pubblico, tra le cause ci sono la defiscalizzazione dei fondi sanitari che dirottano risorse pubbliche verso assicurazioni e sanità private.

Il Piano di rilancio prevederebbe anche di innalzare al 2% del finanziamento pubblico l’investimento in ricerca clinica indipendente, per staccarla dalle priorità dettate dall’industria farmaceutica. Ma è qualcosa di utopico perché la maggioranza della popolazione preferisce immolare la salute ai fantomatici vantaggi della flat tax o del sempre eterno Ponte di Messina. Sarebbe allora onesto, da parte di tutti, affermare che il Servizio Sanitario non è più una priorità e che si dovrebbe optare per un altro modello, cercando di governare i processi di privatizzazione che, nella realtà, stanno creando una sanità a due velocità.

di Sebastiano Lo Monaco

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