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Sinai, una terra abbandonata al proprio destino

di Salvo Ardizzone

Nel Sinai la presenza di gruppi terroristici c’è da molti anni e fin dalla caduta di Mubarak s’erano coalizzati nell’Ansar Bayt al-Maqdis (Abm) per attaccare Israele e sabotare le relazioni con l’Egitto. Da un anno e mezzo, però, le cose sono rapidamente peggiorate, sfociando in una guerra a bassa intensità che ha per obiettivo principale l’Esercito del Cairo e il Governo di Al-Sisi.

L’Abm è dilagato a macchia d’olio, ricevendo l’incondizionato appoggio delle popolazioni beduine, a causa dei massacri e delle distruzioni indiscriminate operate dalle Forze di Sicurezza egiziane, divenendo l’unica alternativa e difesa dinanzi alla spaventosa brutalità della repressione. I villaggi distrutti si contano a decine, come a Rafah, rasa al suolo con poche ore di preavviso per realizzare una striscia di deserto lungo il confine con Gaza (la cosiddetta Zona C1) di un chilometro di larghezza per tredici di lunghezza, imposta da Tel Aviv al prezzo di 1.220 case distrutte e 2.044 famiglie lasciate su due piedi senza un tetto.

È questo è ancora il meno: l’applicazione sistematica delle punizioni collettive successive a un attentato o alla scoperta di quei tunnel da cui Esercito e Polizia ricavano enormi mazzette, determinano l’arresto o l’uccisione della popolazione maschile, soprusi, stupri e abusi su quella femminile e la distruzione delle abitazioni.

Il Sinai è sempre stato un territorio abbandonato a se stesso; il nord della penisola da decenni è stato sfruttato per i giacimenti di gas, ma nulla di quella ricchezza è rimasta sul territorio depredato; la stessa forza lavoro impiegata nei campi d’estrazione proviene dal Delta del Nilo e i pochissimi posti offerti alle popolazioni beduine, oggetto di indicibili umiliazioni, riguardano le attività più dure e meno remunerate rifiutate dagli altri.

In questo clima, l’Abm si è posto non solo come gruppo militare, ma ha anche indossato le vesti di soggetto politico nei confronti di una popolazione sfinita da un’eterna emergenza e dalle crescenti violenze dell’apparato repressivo, alla disperata ricerca di un sostegno. Con un tessuto sociale tradizionale distrutto; centinaia di vittime civili falciate dai militari, il più delle volte senza alcuna motivazione; scuole, piccole attività e commerci paralizzati; disoccupazione pressoché generale; l’Abm si è accreditato non solo come forma di resistenza contro la violenza statale, ma anche come erogatore di aiuti alle popolazioni. In più, senza la parvenza di tribunali che non fossero l’arbitrio delle armi dell’Esercito, e con in tramonto dell’Orfi, l’antico codice beduino, s’è arrogato il monopolio della giustizia.

Il suo potere si basa in larga parte sulla possibilità di assicurare la sussistenza di quanti gli sono vicini, e di soldi il gruppo terroristico ne maneggia tanti, provenienti dall’alleanza con i contrabbandieri, che fanno del Sinai uno snodo cruciale per ogni sorta di traffici (dalle armi agli esseri umani), e dalla stretta connessione con la mafia dei tunnel che alimenta Gaza.

Inoltre, e questa è storia più recente, nel novembre del 2014 il gruppo ha prestato la bay’a (il giuramento di fedeltà) all’Isil, cambiando il nome in Wilayat Sina (Provincia del Sinai); non si è trattato di una scelta “ideologica” che è fuor di luogo fra simili entità, quanto di convenienza, per sfruttare gli aiuti finanziari della “casa madre”, il suo know-how ed acquistare la visibilità di un marchio universalmente noto. I pochi capi e militanti che si sono opposti, rimanendo fedeli alla vecchia affiliazione ad al-Qaeda, in breve sono spariti (o fatti sparire), sancendo la svolta definitiva che ha proiettato la formazione ad operare anche nei centri urbani, sia di giorno che di notte, in un crescendo di attacchi sempre più sanguinosi.

Il 29 gennaio, in seguito dell’attentato al Campo 101 di al-Aris, il Ministero della Difesa ha preferito invocare il Segreto di Stato per non dover comunicare il numero delle vittime che, secondo fonti locali, sarebbero state almeno 320, fra cui numerosi ufficiali, per l’esplosione di un deposito di munizioni.

Al-Sisi ha sin’ora sfruttato la minaccia terroristica nel Sinai come legittimazione del suo potere, dipingendosi come un baluardo contro di essa; nella sua narrazione, supinamente riportata dai media, ha sistematicamente accostato la Fratellanza Musulmana all’Abm ed ora all’Isil, giustificando così la feroce repressione con cui l’ha emarginata dalla scena politica, ed ha costruito la sua immagine, anche internazionale, di “nemico” del terrorismo e garante della stabilità dell’area.

Nella realtà, l’escalation militare nel Sinai, non solo non ha prodotto alcun risultato nella guerra al terrore, ma ha drammaticamente peggiorato una situazione che, per come vanno le cose, è destinata ad aggravarsi col passar del tempo.

La guerra, volutamente condotta con coscritti della leva senza alcun addestramento, in un territorio reso ostile dall’uso indiscriminato della violenza, può solo trascinarsi fra massacri sempre più sanguinosi. Esattamente quello che serve al Generale per giustificare il protrarsi della repressione verso la Fratellanza ed ogni altra forma di dissenso, e l’impegno sempre maggiore in Libia, contro quello che descrive come lo stesso nemico, ma con l’obiettivo d’impadronirsi del gas e del petrolio della Cirenaica.

Resta da vedere fino a quando potrà lasciar deteriorare la situazione nel Sinai, giunta ormai al punto di non ritorno, senza che la sua credibilità non ne venga compromessa, lasciando scoperto il vero problema che vuole nascondere con il mito della lotta al terrore: la devastante crisi economica che sta inghiottendo l’Egitto.

Contro di essa al-Sisi non ha mosso un dito, perché dovrebbe toccare gli immensi privilegi parassitari dell’apparato economico/militare, che lui è chiamato a garantire e per i quali le Forze Armate hanno compiuto il golpe contro Morsi; reprimendo la Fratellanza ed ergendosi a campione della “stabilità”, lucra invece il fiume di petrodollari che gli riversa il Golfo.

Certo fa specie il credito che gli tributano Francia e Italia, ma si sa, gli affari sono affari, e nel frattempo il Sinai può affogare nel sangue.

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