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Sicilia, il genocidio silenzioso di un popolo in “esilio”

Provate a vedere una strada di una qualsiasi città siciliana nel periodo natalizio; oltre alle immancabili buche, si potrà notare un traffico fuori dal comune, in cui anche un piccolo centro sembra essere abitato da milioni di persone. Questo è l’emblema del vero e proprio genocidio siciliano; ogni auto in più, rappresenta una famiglia in più di emigrati che scende sull’isola per le vacanze e che giorno 7 gennaio rientra nel proprio posto di lavoro in nord Italia o all’estero. Mediamente, in ogni auto in più, ci sono 4 o 5 menti che potrebbero prestare le loro capacità alla Sicilia e che invece sono costrette a lavorare lontane dalla propria terra.

Non è un caso la parola genocidio: essa indica una pianificata azione che mira alla dispersione di un popolo, ma non è detto che possa avvenire solo per via di una mattanza o di un bagno di sangue, il genocidio può essere anche incruento e silenzioso, ma altrettanto doloroso e dannoso per un determinato territorio. Il 27 gennaio prossimo, giornata scelta per il ricordo dei genocidi in quanto in quel giorno del 1945 veniva scoperto il campo di Auschwitz dall’armata rossa, più che proiettare l’immancabile documentario sulla shoah, bisognerebbe far visionare ai giovani siciliani i filmati dei paesini dell’entroterra siculo trasformati in borghi disabitati o delle scuole di diversi comuni in cui scarseggiano i bambini, ed in cui non si formano da anni classi di prima elementare.

La Sicilia a poco a poco si va svuotando; nel silenzio più totale, giovani laureati, padri e madri di famiglia lasciano l’isola in cerca di fortuna ed ognuno di loro che va via, è una mente persa, è un nucleo familiare che genererà possibilmente figli non siciliani ed una famiglia che fra tre o quattro generazioni dimenticherà del tutto le origini, ed in Sicilia non metterà più piede, nemmeno per le vacanze natalizie.

Ognuno di loro che parte è una sconfitta per il territorio, è un tassello in più nell’azione pianificata di desertificazione dell’isola, fin troppo abitata per essere un territorio che in futuro dovrebbe diventare semplicemente una gigantesca portaerei americana ed un avamposto militare a stelle e strisce nel Mediterraneo, in cui ospitare siti militari di ogni genere, dalle basi aeree e navali per finire alla base radar Muos di Niscemi. Ad oggi la Sicilia ospita ben 31 siti militari appartenenti all’esercito americano, i nostri “liberatori”.

Non servono campi di sterminio qui in Sicilia per attuare il genocidio, basta semplicemente mantenere lo status quo; il meccanismo è tanto semplice, quanto perverso: controllo totale dell’isola tramite le elite di sempre, impedire l’apertura del governo della cosa pubblica alla parte più sana della società, la quale è costretta a fuggire via e dunque ecco che a rimanere in Sicilia è soltanto chi da questo malandato sistema può ancora trarne profitto. Tutto il resto va fuori, oltrepassa lo Stretto e si rifà una vita lontano dalla propria terra, un esilio forzato, che rischia in futuro di trasformarsi in un addio definitivo alla Trinacria e che contribuisce allo svuotamento progressivo della Sicilia ed alla dispersione del popolo siciliano.

Del resto, conviene a tutti che un’isola così grande e così centrale nel complesso scacchiere mediterraneo, diventi un deserto intellettuale; dall’estero, chi la vuole occupare non avrà mai ostacoli, dall’interno invece, le elite che la dominano da decenni avranno presa più facile tra la popolazione.

Tradizioni secolari, città millenarie, tutto rischia di perdersi nei prossimi decenni se la Sicilia non prende cognizione della sua realtà; la terra di Trinacria, potrebbe diventare terra di nessuno nel breve volgere di 50 anni o forse anche meno. Tanti, troppi i ragazzi e le ragazze che dall’isola sono pronti a partire, a chiudere le proprie abitazioni, a far aumentare il numero di quelle odiose tapparelle abbassate, simbolo che da lì è passata una storia familiare che ora si svolge altrove e che non riempie più le piazze, le vie, gli stadi, i bar delle città siciliane.

Un genocidio quindi, che si sta attuando tramite la via della crisi economica, della chiusura del potere nelle mani di pochi, dello sfascio del sistema scolastico ed universitario, della negazione del diritto di decidere le proprie sorti al popolo siciliano, reso sempre più povero e con sempre più carenti mezzi d’istruzione.

Per questo nel vedere le città siciliane trafficate e vissute nel periodo natalizio, sale un po’ di tristezza e di magone; questo scenario, è quello che dovrebbe esserci in Sicilia per 365 giorni all’anno ed è quello che ci sarebbe qualora l’isola non avesse perso milioni di figli grazie al fenomeno dell’emigrazione.

Intervenire si può e, forse, qualche segnale di presa di coscienza di questa condizione inizia ad intravedersi dentro la società siciliana; proprio la presa di coscienza potrebbe essere l’unica arma per fermare questa silenziosa mattanza sicula.

di Redazione

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