Sheikh Nimr al-Nimr, un’esecuzione per sabotare ogni dialogo in Medio Oriente
di Salvo Ardizzone
L’uccisione di Sheikh Nimr al-Nimr non è semplicemente l’ennesima dimostrazione di barbarie di un regime assolutista che risponde con la pena di morte a qualunque dissenso, è molto di più: quel cadavere martoriato è stato scientemente gettato sulla via dei negoziati di Vienna per sabotare una soluzione politica del conflitto siriano.
Quella morte non è un fatto esecrabile isolato, fa parte di un piano concertato fra quanti hanno scommesso sulla destabilizzazione di Siria ed Iraq e sull’emarginazione dell’Iran, ma ora vedono i loro progetti frustrati.
Prima Ankara ha abbattuto il Su-24 russo, poi Israele ha ucciso il comandante di Hezbollah Samir Kuntar a Damasco, adesso l’Arabia Saudita trucida Sheikh al-Nimr: tre provocazioni coordinate per alzare la tensione e indurre Russia, Hezbollah e Iran a reagire, strappando la fragile tela diplomatica che sta volgendo inesorabilmente verso un assetto per loro inaccettabile.
In questi fatti non c’entra lo scontro religioso fra sunniti e sciiti, come in troppi hanno cercato di raccontare per coprire una verità chiara quanto imbarazzante per l’Occidente, che per troppo tempo ha continuato a considerare “alleati” Stati che si sono macchiati di infamie inenarrabili, preferendo chiudere gli occhi anche dinanzi all’evidenza. Lo scontro è e rimane politico, fra chi ha aggredito e chi, dopo aver subito l’aggressione, ora si rialza e afferma i propri diritti.
Sheikh al-Nimr non era una semplice autorità religiosa, era un riferimento politico per la minoranza sciita saudita, da sempre emarginata e oppressa da un regime che solo l’ipocrita convenienza dell’Occidente può arrivare a definire “moderato”. Si era battuto a lungo perché le venissero riconosciuti i diritti più elementari che le venivano negati ed è per questo che nel 2012 è stato incarcerato, sottoposto a violenze e torture, infine condannato a morte in un processo grottesco e con accuse semplicemente ridicole.
La sua uccisione, nel corso della più grande esecuzione di massa avvenuta in Arabia saudita dal 1980, è un deliberato schiaffo all’Iran per indurlo ad una reazione violenta. La stessa comunità internazionale ne è consapevole, e l’imbarazzo è evidente nelle dichiarazioni ufficiali diramate dalle cancellerie dopo l’annuncio datone da Riyadh e le notizie dell’attacco all’ambasciata saudita di Teheran appena riaperta.
L’inconcludente impotenza dell’Amministrazione Obama nel controllare i suoi antichi “alleati”, adesso decisi a giocare in proprio, sta tutta nel balbettio del Segretario di Stato Kerry che formula patetici inviti alla moderazione.
Turchia, Israele ed Arabia Saudita stanno vedendo materializzarsi i loro incubi peggiori: l’Iran riammesso a pieno titolo nella comunità internazionale con un peso e un ruolo crescente; le bande di terroristi con cui pensavano di far crollare Siria ed Iraq per poi spartirsene le spoglie sono ovunque in ritirata; lo spazio di superpotenza egemone, abbandonato dall’Amministrazione Obama, occupato dalla Russia di Putin.
Certo, sanno bene che un nuovo Presidente Usa potrebbe mutare radicalmente la politica di Washington, ma deve passare ancora un anno, un periodo lunghissimo mentre la Storia ha preso a correre e s’accinge a sancire fatti compiuti che sarà impossibile rimettere in discussione.
Per questo intendono giocare il tutto per tutto in un crescendo di provocazioni (che di certo sono destinate a moltiplicarsi) per far precipitare la situazione e far saltare ogni accordo. Sono i colpi di coda, sempre più irresponsabili e disperati, di chi vede naufragare i propri progetti e si sente con l’acqua alla gola.