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Segnali di distensione tra la Cina e la “ribelle” Taiwan

di Salvo Ardizzone

Taiwan, Kuomingtang, parole dimenticate; da quando il Dragone di Pechino s’è imposto sull’economia planetaria, chi si ricorda più di quell’isola dinanzi alle coste della Cina, che nella stucchevole retorica retrò di certo Occidente è stata per molto tempo il “baluardo contro il pericolo rosso”? Per chi i capelli bianchi non ce li ha, e non è interessato alla storia e all’Estremo Oriente, diciamo che lì, nel lontano ’49, si rifugiò Chiang Kai-shek dopo che il suo regime marcio (ma filo occidentale) era stato sconfitto da Mao.

Quella che a Pechino è considerata ancora la “provincia ribelle”, è ancora uno Stato solo perché gli Usa stipularono il patto di garantirne l’indipendenza. E quel patto rimase nel tempo, perché da quelle parti, in barba alle convenienze, la “faccia” conta più di molte altre cose; dopo molte lezioni l’hanno capito anche gli Americani che, quando nel 95/96 (in fondo storia recente) i Cinesi del continente spararono missili (ma in acqua) per mostrare i muscoli, mandarono la flotta per far capire che la garanzia rimaneva.

Per i governanti di Pechino quell’isola dinanzi alle proprie coste, cinese ma separata, è sempre stata un’ossessione; sempre meno importante per il resto del mondo, certo, a mano a mano che la forza dello yuan faceva ridurre al lumicino gli Stati che riconoscevano la “ribelle” (oggi l’unica ambasciata importante è presso il Vaticano); ma come ha detto il nuovo Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping: “Non possiamo lasciare il problema irrisolto di generazione in generazione”.

No, il Dragone non dimentica, anche se il resto del mondo ha dimenticato; solo i fabbricanti d’armi americani e francesi l’hanno in conto, rifornendola a più non posso d’armamenti visto che Taiwan è pure ricca (è la 19^ economia mondiale). E i partners economici che con lei fanno affari, ma in sordina, per non irritare il colosso.

Per la “ribelle” la Cina aveva coniato tanto tempo fa la formula “un Paese due sistemi”, consapevole che a quel tempo era troppa la distanza fra le due economie; formula che è servita, e bene, per Hong Kong e Macao. Ora le cose son cambiate anche sul continente, e l’11 febbraio scorso è avvenuta la svolta storica: a Nanchino si sono aperti colloqui politici formali ad alto livello fra le delegazioni dei due Paesi. In sessantacinque anni non era mai accaduto; i contatti, che comunque c’erano sempre stati sotto traccia, erano stati mantenuti discretamente da ex politici, da imprenditori o da organizzazioni private, mai nulla d’ufficiale. Ma come detto le cose son cambiate: ci sono due milioni di taiwanesi sul continente, quasi tutti imprenditori impegnati negli interscambi e nello sviluppo delle due economie, e 800mila solo a Shanghai, e questo è un fatto.

Certo, Pechino punta a riprendere il controllo della “provincia ribelle”, mentre Taipei mira al mantenimento della situazione e all’apertura di uffici di rappresentanza politica fra i due Paesi, in questo in linea con un’opinione pubblica che, secondo tutti i sondaggi, all’80% vuole il perpetuarsi dello status quo (leggi il mantenimento del proprio benessere senza fastidiosi azzardi).

Ma è l’economia a dare la spinta decisiva: l’interscambio commerciale è raddoppiato negli ultimi cinque anni arrivando a 197 mld di $ nel 2013, e il surplus commerciale di Taiwan è pari a 116 mld; a guardare con l’occhio dei Cinesi, ci sono “due Paesi e un sistema”, quello di mercato.

Così, in barba ai principi tanto sbandierati (ma solo quelli intesi della “faccia”, all’orientale) e alle autonomie (che in certo modo sarebbero comunque garantite), state tranquilli che a poco a poco si troverà un accomodamento sotto la spinta degli affari.

Gratta, e neanche tanto, i discorsi che circolano a Taipei, ciò che importa è mantenere il benessere raggiunto, magari aumentandolo con nuove opportunità, e che importa di bazzecole come diritti umani, libertà di stampa e d’espressione, repressione delle minoranze e così via? Inezie per i perditempo che non badano al sodo.

Si, magari non domani, la “faccia” conta, ma si troverà comunque una soluzione che accontenterà tutti, felici di far soldi in braccio al gran Dragone. Quello conta.

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