Attualità

Sanità italiana, The Lancet lancia l’allarme

La sanità italiana ancora una volta al centro dell’attenzione; questa volta è la rivista The Lancet a lanciare l’allarme.

L’editoriale è un j’accuse che non usa mezzi termini e dipinge una situazione che definire disastrosa è un eufemismo. “Il sistema dei dati sanitari italiani non funziona, le regioni non riescono nemmeno a comunicarsi i dati e le informazioni utili alla cura dei pazienti. La ricerca scientifica è ferma”, riporta la rivista. L’articolo continua a dipingere una situazione che è sotto gli occhi di tutti ma che tutti, politici in primis, fanno finta di non vedere: “L’Italia si trova immersa in una sorta di feudalesimo in cui ospedali e strutture sanitarie si affidano a sistemi di raccolta dati incompatibili tra di loro e vetusti, che rendono impossibile il trasferimento di referti e immagine diagnostiche all’interno della stessa città”, riporta la rivista.

Il costo e l’autonomia differenziata

Questo vecchiume, sarebbe meglio dire, questa sciatteria, ha un costo che si riversa nelle tasche degli italiani. Sono in tanti a rinunciare alle cure ma chi ci riesce, riuscendo a fare lo slalom tra liste di attesa, entra all’interno di un altro girone dantesco che è quello, nel caso preso in questione da Lancet, di ripetere gli stessi esami due volte perché se curati e/o visitati in due regioni differenti, queste sono incapaci di leggere i referti. Tutto questo viene a costare alla nazione 3,3 miliardi di euro.

Su questo fosco panorama incombe la riforma dell’autonomia differenziata, che sarebbe il colpo di grazia al sistema sanitario nazionale. Un sanità che già oggi, come abbiamo letto, ha difficoltà di coordinamento tra le regioni. Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia, sono le regioni sottoposte al piano di rientro delle spese sanitarie e sono tutte regioni del centro-sud.

Sanità digitale

Tornando al problema della raccolta dati, le prime crepe erano emerse durante la pandemia da Covid-19 con alcune strutture che scrivevano su moduli di carta, i dati dei contagi. Ad oggi il famigerato fascicolo sanitario è gestito dalle regioni in modo autonomo e del tutto disomogeneo. Cosa significa? Significa che, se un paziente siciliano vuole farsi curare in Toscana o che finisce in pronto soccorso, non ha modo di utilizzare diagnosi ed esami già effettuati in passato. Il confronto con i Paesi del Nord Europa è impietoso, visto che hanno una banca dati centrale consultabile da qualsiasi medico.

Il fascicolo sanitario elettronico, secondo Lancet, è lo strumento che potrebbe unificare la storia di un cittadino riguardo malattie, esami e terapie, un sistema che rimane ampiamente inutilizzato per via delle autonomie regionali che permette di agire in maniera arlecchinesca e inefficiente. Perché accade tutto ciò? Semplice: gestire la sanità vuol dire gestire molti soldi, ed è chiaro che le regioni e i loro “governatori” non vogliono rinunciare a questo privilegio. Resta un mistero il miliardo e ottocento milioni spesi nel 2022 previsti per la sanità digitale. Ad oggi non si conoscono né come siano stati spesi, né come siano stati utilizzati.

di Sebastiano Lo Monaco

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