Sahara-Sahel, cambiamento climatico e stabilità regionale

La zona del Sahara-Sahel è una delle regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Questi processi hanno un impatto diretto sulla stabilità regionale. Il degrado del suolo, la siccità, la desertificazione e la scarsità d’acqua compromettono seriamente la sicurezza alimentare. Oltre 7 milioni di persone sono colpite dalla crisi alimentare in corso e 3,5 milioni soffrono di malnutrizione cronica. Situati tra il deserto del Sahara e le zone tropicali umide, i settori agricolo e zootecnico – che rappresentano il 40% del Pil della regione e impiegano il 60-80% della popolazione – stanno subendo ripetuti shock climatici.
Il cambiamento climatico ha intensificato la competizione per le risorse naturali e i gruppi terroristici stanno sfruttando e radicalizzando sempre di più queste tensioni. Le organizzazioni terroristiche reclutano tra le popolazioni più vulnerabili, in particolare pastori e agricoltori, i cui conflitti si sono fortemente intensificati a causa della scarsità di risorse. Solo tra giugno e novembre 2024, si sono registrati oltre 1.600 scontri per l’accesso a pascoli, terreni agricoli e acqua potabile.
La siccità e l’erosione del suolo hanno un impatto significativo sull’agricoltura nel Sahara-Sahel. Entro il 2080, si prevede che le temperature medie nella regione aumenteranno di 2-4,3 °C. Il numero di giorni estremamente caldi (oltre i 35 °C) potrebbe aumentare fino a 125 all’anno. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), tali condizioni climatiche potrebbero portare a una perdita del 50% delle rese agricole.
Il problema sovrapascolo
Il sovrapascolo è un problema importante nel Sahel. Porta alla perdita di vegetazione e a un maggiore assorbimento della radiazione solare, che aumenta la temperatura superficiale e accelera l’erosione causata dal vento e dall’acqua. In Mali, oltre 489mila ettari di terreno coltivabile sono andati persi a causa dell’erosione del suolo negli ultimi 15-20 anni. In Niger, ogni anno si perdono dai 100mila ai 120mila ettari di terra fertile. Nel Burkina Faso, la perdita annuale varia dai 105mila ai 250mila ettari e potrebbe arrivare a 360mila ettari.
Le gravi siccità del 1968, 1973, 1983 e 1985 sono considerate tra i principali fattori che hanno contribuito all’attuale instabilità della regione. Queste siccità hanno causato oltre 250mila morti per carestia e malattie. I pastori nomadi delle comunità Fulani e Tuareg sono stati colpiti in modo particolarmente duro, non riuscendo a nutrire le loro mandrie. Nel frattempo, i governi hanno dato priorità agli sforzi di recupero per gli agricoltori sedentari, in particolare quelli delle etnie Dogon, Hausa e Mossi.
La mancanza di supporto da parte delle autorità centrali, unita alle crescenti controversie territoriali tra pastori e agricoltori, ha spinto molti Fulani a radicalizzarsi o ad unirsi a gruppi criminali come ultima risorsa, a causa della mancanza di alternative. Il reclutamento da parte di gruppi armati si intensifica durante la stagione secca, in particolare a marzo e aprile, quando i pascoli scarseggiano e le risorse foraggere si esauriscono.
Il dramma terrorismo nel Sahara-Sahel
Le stagioni secche prolungate hanno un impatto significativo sull’allevamento del bestiame, riducendo la disponibilità di foraggio e acqua. I gruppi terroristici spesso aggravano la crisi idrica prendendo di mira e distruggendo deliberatamente le infrastrutture idriche.
Durante la stagione delle piogge (da maggio a novembre), l’accesso all’acqua migliora, ma rimane disomogeneo. Nell’arido Sahel settentrionale, le precipitazioni annue sono di circa 100 millimetri, tipiche dei climi desertici, mentre nel sud possono superare i 500 millimetri, causando spesso gravi inondazioni. Le piogge torrenziali danneggiano i pascoli e la vegetazione, aumentando il rischio di malattie del bestiame e interrompendo le rotte della transumanza.
Le tradizionali rotte migratorie stagionali dei pastori del Sahel centrale si stanno spostando più a sud, nella regione del Golfo di Guinea, includendo Paesi come Costa d’Avorio, Nigeria, Ghana, Togo, Guinea e Benin, dove il foraggio è più abbondante. Tuttavia, i gruppi armati spesso monitorano queste nuove rotte, poiché il furto e la rivendita di bestiame sono per loro fonti di reddito chiave.
Pertanto, sebbene il cambiamento climatico non sia l’unico motore della radicalizzazione e dell’estremismo, esso esacerba l’instabilità in un contesto di intensa competizione per le risorse. Le organizzazioni terroristiche cercano di sfruttare queste condizioni per ottenere il controllo di risorse vitali e assumersi la responsabilità della loro distribuzione in cambio della lealtà locale.
di Redazione



