Sacro Impero Americano, il Paese dalla vocazione totalitaria
Il Sacro Impero Americano fa guerre per esportare la democrazia diventata un mito nella Holy politics americana e nel nome di questo mito il Paese si è trasformato in uno stato ibrido politico, che non può arrestare la sua vocazione totalitaria, con la complicità e l’irrazionalità del demos.
Dalla fine della seconda guerra mondiale al 2001, dei 248 conflitti armati in 153 sedi in tutto il mondo, 201 operazioni militari all’estero sono state lanciate dagli Stati Uniti e da allora, altre, tra cui l’Afghanistan e l’Iraq. La guerra globale permanente è condotta in nome della democrazia, si chiede a Dio di continuare a benedire l’America, mentre il Paese non può arrestare la propria vocazione totalitaria.
Già Aristotele e poi Tocqueville ci avevano insegnato che il passo da “una democrazia gestita dall’alto” al totalitarismo è breve. Negli Stati Uniti, non solo è stata abbandonata l’idea della “democrazia partecipativa” in forza della manipolazione del consenso e del “crescente abbandono della divisione dei poteri a favore dell’esecutivo”, ma stiamo assistendo all’incessante rafforzamento di un sistema perverso di gestione privata di lobbies del potere. Non quindi una Democrazia che non c’è (Paul Ginsborg), né una Postdemocrazia (Colin Crouch) o una democrazia debole, ma una premeditata vocazione totalitaria mantenuta viva dalla commistione tra politica e affari.
Come dichiara Sheldom Wolin, l’autore del classico Democrazia, Politica e Visione, su cui si è formata una generazione di teorici della politica negli Stati Uniti, il potere economico e quello dello Stato si sono fusi in un connubio privo di freni e per questo incline a forme totalizzanti. Si tratta del totalitarismo all’americana.
Un “inverted totalitarism”, ossia il frutto dell’inversione verso l’interno del potere forte della Superpotenza, prima puntato sulla sola politica estera. L’autore evidenzia alcune patologie, il prodotto di una pericolosa affinità tra elitarismo politico e capitalismo, e analizza le costruzioni mitologiche che giustificano la recente politica americana, in particolare l’affermazione di un’economia in continua espansione e l’attrazione perversa per la guerra preventiva e globale.
Ma Wolin si spinge oltre e afferma che, a differenza di quel che si pensa, l’America non è neppure mai stata la tanto celebrata culla della democrazia moderna: già la Costituzione dei Padri Fondatori rivelava una forte tendenza elitaria. Analizzando la storia degli Stati Uniti, in particolare dalla guerra fredda all’11 settembre, l’autore documenta come, a parte la parentesi del New Deal, l’America non sia mai stata democratica e ora, lungi dal trovarsi sul ramo discendente della “parabola democratica”, sembra aver imboccato una “spirale totalitaria”.
A differenza dei sitemi totalitari del XX secolo che furono resi possibili dalla debolezza e poi dal crollo dei governi parlamentari, incapaci di creare una valida opposizione, il totalitarismo ha un retroscena diverso: non drammatico, senza Putcsch o Marce su Roma, in un’evoluzione appena visibile. Già in precedenza i gruppi di interesse e le lobby erano definiti come “il quarto ramo del governo”.
Sta di fatto che nella perversione della democrazia la concentrazione del potere, sotto forma di un Leviatano, di un dispotismo benevolo o di una Superpotenza, è impossibile senza il sostegno di una cittadinanza complice che volontariamente sottoscrive il patto, o diventa acquiescente, o preme il pulsante “muto”. Ed ecco il paradosso: nelle questioni di politica estera e militare il demos è considerato privo delle conoscenze, dell’esperienza e della capacità analitica di esprimere giudizi razionali, eppure quando la sua attenzione è concentrata su problemi o crisi nazionali e internazionali viene stimolato a rispondere in modo viscerale agli appelli al patriottismo, al nazionalismo e all’evangelismo politico. Queste forme di ipocrisia collettiva servono da paraocchi verso le conseguenze, in molti casi orrende e sfacciatamente immorali, del sostegno a queste iniziative. Il demos diventa allo stesso tempo complice e irrazionale.
di Cristina Amoroso