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Russia: segnali di distensione nel conflitto ucraino

di Salvo Ardizzone

Domenica 12 ottobre, Vladimir Putin ha ordinato il rientro dei 17.600 soldati russi mobilitati da tempo, ufficialmente per manovre presso la frontiera con l’Ucraina, nella sostanza per poter essere impiegati in un conflitto che ha mietuto oltre 3.600 vittime riconosciute (oltre 330 dal 5 settembre, data del cessate il fuoco), causando la peggiore crisi fra Russia e Occidente dai tempi della Guerra Fredda.

Il gesto è un chiaro segnale di distensione, a cui il giorno dopo ha fatto seguito l’annuncio della riduzione di quanto preteso da Mosca come prima tranche del proprio credito per il metano fornito a Kiev, che a sua volta ridimensiona il volume di gas che intende acquistare dalla Russia per il prossimo inverno; segnali incoraggianti in vista dell’incontro che Putin e Poroshenko avranno a margine del summit eurasiatico Asen che si terrà a Milano il 16-17 ottobre. 

Il faccia a faccia, il primo dopo gli accordi di Minsk del 5 settembre, vedrà un forte coinvolgimento dei leader europei: Angela Merkel, Matteo Renzi, padrone di casa e Presidente di turno della Ue, David Cameron. Le Nazioni europee hanno il pieno interesse a disinnescare una crisi suicida, contraria agli interessi dei loro Sistemi Paese soprattutto in un momento delicato come il presente, quando una recessione senza fine li attanaglia; Ue e Russia hanno tutto da perdere da sanzioni che fanno unicamente gli interessi degli Usa, che non a caso le hanno imposte.

Da parte sua l’Ucraina cerca anch’essa di girare pagina, ed è di domenica la notizia delle dimissioni del ministro della difesa Valery Gueletei, subito accettate da Poroshenko.   

Si spera che in settimana ci siano sostanziali passi avanti nel dialogo fra Mosca e Kiev, e possano essere bloccate le azioni di disturbo che, certamente, verranno portate avanti non solo da Washington, ma anche da quei Paesi dell’Est (leggi Polonia, Paesi Baltici, etc.) che ottusamente fanno della contrapposizione a Mosca a prescindere l’unica propria politica estera. 

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