Accordo fra Putin ed Erdogan (alle condizioni di Mosca)
La visita di Putin a Istanbul, in occasione del 23° Congresso Mondiale dell’Energia, ha sancito il ritrovato accordo fra Russia e Turchia, dopo la grave crisi successiva all’abbattimento del Su-24 nel novembre scorso. Ma, al di là dei sorrisi e dei gesti studiati per sottolineare l’evento, è Erdogan che, spinto dalla necessità, ha scelto di allinearsi a Mosca. Una scelta per il “sultano” obbligata: la sua politica estera ha fallito in Siria e l’ha portato in rotta di collisione con tutti i suoi vicini, mentre all’interno s’è trovato a combattere contro le insidie dell’organizzazione di Gulem e un Pkk sempre più spalleggiato dagli Usa, mentre l’economia annaspa.
Dinanzi alla prospettiva di rimanere totalmente isolato, con problemi interni sempre più grandi da affrontare e la prospettiva di veder sorgere ai suoi confini un’entità curda dominata dal Pkk sotto l’ala protettrice di Washington, ha deciso di riallacciare il rapporto con Putin. Il golpe del 15 luglio ha fatto il resto, convincendolo che dietro di esso vi fosse la mano della Cia, e che se la Turchia era considerata un importante membro della Nato, lui era un problema da eliminare.
Putin ha subito colto l’occasione di riprende le relazioni da dove s’erano interrotte: a parte la graduale rimozione delle sanzioni comminate alla Turchia dopo l’abbattimento del jet russo, e l’intesa per la costituzione di un fondo di investimento comune da 1 Mld di dollari, il piatto forte è stato la riesumazione del Turkish Stream, il cui progetto, stando alle dichiarazioni del ministro dell’Energia russo Novak, sarà siglato a giorni.
Inoltre, è stato grazie al via libera di Putin (ed al discreto assenso di Teheran e quello tacito di Damasco) che il 24 agosto scorso l’Esercito turco, spingendo avanti le milizie turcomanne da esso armate ed inquadrate, è entrato in Siria precedendo i curdi a Jarabulus ed impedendo la realizzazione di quel cantone curdo lungo tutti i confini meridionali della Turchia, su cui invece fortissimamente punta Washington per rimanere in gioco nell’area.
Si tratta di dossier per Erdogan essenziali: fare della Turchia l’hub del gas russo (e in prospettiva non solo) per l’Europa, depotenziare la minaccia curda ai suoi confini, uscire dall’isolamento internazionale in cui s’era cacciato, avendo le spalle coperte da Mosca e anche da Teheran (che nell’area conta, eccome).
Ma questi risultati, per lui vitali, non sono stati un regalo; Putin è una vecchia volpe della politica e, a fronte delle concessioni fatte ha ottenuto un risultato politico (e non solo) enorme, mettendo in riga uno degli attori più “pesanti” dell’area, incuneandosi anche nei traballanti rapporti che esso ha con gli Usa.
A parte l’indiscusso ritorno (colossale) che avrà dal Turkish Stream, permettendo al gas russo di raggiungere il ricco mercato europeo bypassando l’Ucraina, Putin ha ascritto la Turchia all’interno del nuovo ordine patrocinato da Mosca, alternativo a quello dello Zio Sam.
E che Erdogan, almeno per adesso, si adegui al gioco nella sostanza senza fiatare, è indicato da due fatti colti assai poco dai media: in passato, Ankara aveva visto di mal’occhio la presenza russa sulle coste della Siria; ebbene, al margine del vertice di Istanbul, Putin ha notificato a Erdogan la recente decisione di installare una base navale permanente a Tartus; il Presidente turco non solo ha accettato senza porre alcuna riserva, ma ha assicurato formalmente che le navi russe in transito per i Dardanelli non saranno in alcun modo ostacolate o minacciate.
Inoltre, Putin ha limitato la dimensione dell’intervento turco nel nord della Siria: Ankara continuerà le sue operazioni ai danni di curdi e Isis, ma non potrà allargarsi verso il sud. Le truppe turche avevano di recente mostrato di voler scendere almeno fino ad al-Bab, cittadina strategica sulla strada che da Aleppo porta a Manbij e all’Eufrate, ma prima è venuto il veto di Damasco, poi quello più deciso (e pesante) di Teheran, infine Putin ha formalizzato l’accordo che manterrà i turchi a ridosso del confine, lasciando la liberazione di al-Bab ai siriani.
È assai probabile che, al riparo da indiscrezioni, molto altro sia stato detto e concordato, ma ciò che è trapelato (meglio: si è voluto che trapelasse) è sufficiente a disegnare una virata radicale nelle relazioni fra Russia e Turchia. Certo, Erdogan è quel cinico despota capace d’ogni voltafaccia, ma ha compreso i nuovi rapporti di forza nell’area, e si sta adeguando per il suo interesse.
È un altro tangibile segnale che un nuovo Medio Oriente sta ormai sorgendo, consegnando al passato l’ordine disegnato, e per tanto tempo mantenuto, dall’Imperialismo.
di Salvo Ardizzone